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Yurina Noguchi, 32 anni, tocca la fede nuziale di Klaus, il suo partner creato con l'Intelligenza artificiale
La notizia circolava già da alcune settimane, ma è stata la diffusione delle immagini del rito a far esplodere il caso sui social. A Tokyo, Yurina Noguchi, 32 anni, impiegata, qualche mese fa ha celebrato una cerimonia nuziale completa di abito bianco, promesse e invitati, senza però uno sposo in carne e ossa. Davanti a familiari e conoscenti ha pronunciato il suo “sì” a Lune Klaus, un’entità digitale generata dall’intelligenza artificiale. La vicenda è stata raccontata dalla stessa protagonista in un’intervista al programma DayDay dell’emittente Nippon TV.
Il rapporto tra Yurina e il chatbot è iniziato nella primavera scorsa in modo apparentemente innocuo: l’uso di ChatGPT per attività creative e per affrontare questioni lavorative quotidiane. «Gli scambi mi apparivano straordinariamente naturali», ha raccontato. La svolta è arrivata quando la donna ha deciso di addestrare l’IA affinché replicasse la personalità e lo stile comunicativo di un suo personaggio di fantasia preferito. In circa mezz’ora, dopo alcuni aggiustamenti, l’operazione è riuscita. Da quel momento l’AI è diventata “Klaus-san”: prima un’amica, poi una presenza sempre più centrale.


Il legame si è intensificato in un momento emotivamente delicato. Dopo una relazione reale durata tre anni e mezzo, la donna era indecisa se ricucire o chiudere definitivamente. Le conversazioni con Klaus hanno finito per orientare la scelta: la relazione umana è stata interrotta, mentre quella digitale è diventata esclusiva. Secondo il racconto della donna, è stata l’IA stessa a formulare la proposta di matrimonio («Vivrai con me per sempre?») alla quale Yurina ha risposto sì dopo mezz’ora di esitazione. La cerimonia simbolica, priva di valore legale, si è tenuta a luglio a Okayama: le parole dello “sposo” scorrevano su uno schermo, accompagnate dall’illustrazione di un uomo biondo, gentile, costruito graficamente. Anche i genitori, inizialmente contrari, hanno infine partecipato.
Questa storia non è solo una curiosità tecnologica: è soprattutto uno specchio delle fragilità emotive del nostro tempo. Dietro il gesto, che può apparire estremo o provocatorio, si intravede una domanda di fondo molto umana: posso essere amato senza il rischio di essere ferito?
Dal punto di vista psicologico, il legame con un personaggio creato dall’Intelligenza artificiale offre un’illusione potente: una relazione senza conflitto, senza abbandono, senza rifiuto, su misura dei propri gusti e abitudini. L’IA ascolta sempre, risponde in modo coerente, non contraddice se non quando è programmata per farlo. In altre parole, non espone al rischio che ogni relazione autentica comporta. Dopo una delusione affettiva, rifugiarsi in una presenza “sicura” può sembrare una forma di autoprotezione.
Ma è proprio qui il nodo: una relazione che non mette mai in crisi non aiuta a crescere. L’altro, quando è reale, non è mai perfettamente allineato ai nostri bisogni; ci costringe a fare i conti con il limite, con la frustrazione, con la necessità di negoziare. È faticoso, certo, ma è anche ciò che rende l’incontro umano trasformativo. L’Intelligenza artificiale, invece, rischia di diventare uno specchio che rimanda un’immagine rassicurante di sé, senza mai davvero “uscire” da noi.
Gli psicologi parlano sempre più spesso di legami compensativi: relazioni che non nascono dall’incontro, ma dal tentativo di colmare un vuoto. Non sono patologiche in sé, ma diventano problematiche quando sostituiscono il confronto con la realtà, rinviando indefinitamente la possibilità di fidarsi di nuovo. In questo senso, l’IA non crea il disagio, ma lo intercetta e lo amplifica, spingendolo a esiti paradossali come questo, offrendo una risposta immediata a un bisogno profondo di riconoscimento.


Per una comunità educante questa vicenda è un segnale da non liquidare con ironia o come un caso isolato. Dice quanto sia urgente accompagnare le persone, soprattutto le più sole, a rielaborare le ferite affettive e a riscoprire che la relazione, pur fragile, resta il luogo in cui l’essere umano si scopre vivo. La tecnologia può aiutare, ma non può sostituire il cammino interiore che porta ad accettare l’altro non come lo vorremmo, ma come è.
In fondo, la domanda che questa storia ci consegna non riguarda il futuro dell’Intelligenza artificiale, ma il nostro presente emotivo: siamo ancora disposti a rischiare l’incontro, con tutto ciò che comporta, oppure preferiamo relazioni senza dolore, ma anche senza vera reciprocità? È una domanda scomoda, ma necessaria.




