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L'operazione americana "Occhio di falco" contro lo Stato islamico in Siria.
Due settimane fa la Siria ha celebrato il primo anniversario della caduta del regime di Bashar al-Assad – costretto alla fuga da un’operazione militare molto rapida - e l’inizio della transizione politica sotto la leadership del nuovo presidente Ahmed Hussein al-Sharaa. Ex jihadista e leader di Hayat Tahrir al-Sham (Hts, Organizzazione per la liberazione del Levante) - gruppo armato nato dalla scissione con Al Qaeda e prima denominato Jabhat al-Nusra - il presidente siriano, meglio noto come Abu Mohammad al-Jolani, è stato per anni ricercato dagli Stati Uniti che avevano posto su di lui una taglia terrorismo. Anni fa Al-Sharaa ha preso le distanze dal jihadismo e ha trasformato Hts in un gruppo armato siriano (che è stato poi sciolto a gennaio del 2025 e integrato nell’esercito siriano). Da nuovo leader della Siria, a capo di un Governo ad interim, ha intrapreso un nuovo corso politico volto a rompere l’isolamento internazionale del Paese, avviare la ricostruzione e compiere riforme in una nazione profondamente frammentata, oltre che devastata da tredici anni di sanguinosa guerra civile e anche dal terribile terremoto del 2023.
In questi dodici mesi molte cose sono cambiate e ci sono stati numerosi segnali di speranza, in modo particolare l’incontro storico avvenuto lo scorso novembre alla Casa Bianca fra il presidente al-Sharaa e Donald Trump, una visita che ha segnato il culmine di un processo di riabilitazione del Paese, il riavvicinamento a Washington con la rimozione delle sanzioni economiche. Dopo l’incontro alla Casa Bianca, il Governo siriano ha aderito ufficialmente alla Coalizione globale per sconfiggere l’Isis guidata dagli Stati Uniti (è il 90esimo Paese ad entrare nella Coalizione internazionale contro il terrorismo).
Lo Stato islamico non è stato sradicato e continua a rappresentare una fonte di destabilizzazione per il Paese con azioni terroristiche. La Siria resta ancora lontana da una reale, effettiva pacificazione interna e continua ad essere attraversata da insicurezza e instabilità, in bilico fra tentativi di rinascita e ricostruzione e tensioni interne. Dieci giorni fa tre americani – due soldati e un interprete civile – sono morti nella regione del sito archeologico di Palmira, colpiti da un cecchino affiliato all’Isis che ha aperto il fuoco contro una pattuglia congiunta siriano-americana. Due giorni fa Donald Trump ha ordinato una vasta offensiva – supportata anche dalla Giordania - contro l’organizzazione terroristica in Siria.
Oltre 70 obiettivi dell'Isis in diverse zone sono stati bersaglio di un’ondata di raid nell'ambito dell'operazione “Occhio di falco”. Dopo l’attentato alla pattuglia, il presidente Usa aveva promesso una risposta forte, che in effetti ha dato con l’operazione militare contro l’Isis più dura e massiccia degli ultimi tempi, a conferma della centralità della presenza e dell’azione americana sul territorio siriano. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani sarebbero stati uccisi almeno cinque miliziani.
Il Governo di Damasco, dal canto suo, ha confermato l’impegno a combattere lo Stato islamico sul territorio siriano. «Stiamo colpendo con forza le roccaforti dell'Isis in Siria, un luogo intriso di sangue che ha molti problemi, ma che ha un futuro luminoso se l'Isis verrà sradicato», ha dichiarato Trump sul suo profilo social Truth. E ha aggiunto: «Il Governo siriano, guidato da un uomo che sta lavorando molto duramente per riportare Grandezza alla Siria, è completamente in supporto». E un avvertimento: «Tutti i terroristi che sono abbastanza malvagi da attaccare gli americani con ciò sono avvisati».



