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È morta nella notte a Roma, all'età di 99 anni. Maria Romana De Gasperi, seggista e politica italiana, nonché fondatrice e presidente della Fondazione De Gasperi, era nata a Trento il 19 marzo 1923 ed era la primogenita delle quattro figlie di Alcide De Gasperi. Nel 2021 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l'aveva nominata Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana. Nel 2017, a 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, la primogenita dello statista trentino raccontò a Famiglia Cristiana i progetti e le speranze che suo padre nutriva per il Vecchio Continente. Con un grande rimpianto... Ecco il testo integrale.


Su un ripiano la foto in bianco e nero di papà, sigaretta in bocca. Alla parete un altro ritratto del padre, l’uomo che portò l’Italia fuori dalla povertà del Dopoguerra. Maria Romana De Gasperi, primogenita delle amatissime quattro figlie di Alcide De Gasperi, studiosa di politica e storia, valorizzatrice della figura del grande statista trentino, racconta, mentre i telefoni non smettono di squillare (la sua agenda è fitta di incontri e di conferenze), suo padre e l’Europa, gli anni della guerra e i sogni di un’Italia migliore.
Lucidissima, con i suoi 94 anni appena compiuti, indugia tra i ricordi personali e quelli della Storia, quella vera, con la S maiuscola. «Ricordo il quadrimotore che ci portò negli Stati Uniti e quei bigliettini che mettevo nella tasca di papà con gli appunti per ognuno dei discorsi che doveva fare per convincere gli americani ad aiutare il nostro Paese. E poi la gioia per il sostegno economico insperato che arrivò da Oltreoceano. Il Piano Marshall lo portò a casa mio padre. E ricordo anche la sua telefonata a una radio americana con il suo appello “aiutateci perché abbiamo pane soltanto per altri dieci giorni”, telefonata che spinse a cambiare rotta a una nave carica di farina che era già partita per altra destinazione. Il mercantile attraccò invece a Napoli, proprio su sollecitazione di quell’appello, e ci fu una scena quasi da film, con la gente felice che gridava per strada per l’arrivo della farina». Ricordi intrecciati, come furono il cammino dell’Italia e la vita di suo padre, «un uomo per il quale non ci sono aggettivi. Un dizionario intero non basterebbe a definirlo». Nella sua bella casa romana, la figlia che fu accanto a De Gasperi nella sua segreteria politica ci accoglie con quella cordialità discreta che ha sempre caratterizzato la vita della sua famiglia.
Suo padre morì prima della firma dei Trattati di Roma che istituirono la Comunità economica europea e l’accordo Euratom sull’energia nucleare. Ma il suo sogno di un’Europa unita andava già compiendosi. «Per la nostra famiglia quel 25 marzo del 1957, il giorno della rma dei Trattati, fu importante perché era la realizzazione, anche se in parte, del progetto al quale mio padre aveva lavorato per lungo tempo».
Perché dice in parte?
«Perché non si era riusciti a portare a realizzazione la Comunità europea di difesa. Quel progetto cadde denitivamente a fine agosto ’54, proprio pochi giorni dopo la morte di mio padre. Per lui era essenziale una unità concreta di difesa comune, perché questa sarebbe stata l’inizio vero e veloce di una unità politica. Come lui la pensavano anche Adenauer e Schuman. Mio padre aveva molto insistito su questo punto. Ed era anche consapevole che, se non si fosse realizzato in quel momento, difficilmente si sarebbe concretizzato in futuro. “Passeranno lustri e lustri”, diceva stremato dalla malattia e con l’ansia di non poter agire. “Se fossi a Roma, tra le parti, riuscirei a convincerli”, ha continuato a dire fino all’ultimo giorno di vita».
Lei ha citato Adenauer e Schuman, gli altri due “padri dell’Europa”. Che ricordo ne ha?
«Di tre uomini, con mio padre, avanti agli altri. Pur essendo già, per quell’epoca, in là negli anni, avevano una mentalità che precorreva i tempi e che pensava al futuro dei popoli dei quali erano stati messi a capo dopo una distruzione terribile di tutta l’Europa. Non era un caso, io credo, che fossero tre veri cristiani, non soltanto battezzati, e che credevano a una politica dedicata al bene comune. Avevano una cultura e un’educazione comune. E anche la lingua li agevolava. Mio padre aveva vissuto e studiato in Austria, così come era stato sotto l’Austria anche Schuman. E dunque parlavano tedesco tra di loro. Fu una situazione unica che gli rese facile la collaborazione».
Che clima c’era all’epoca?
«C’era la voglia di ricominciare, quei primi dieci anni dopo la guerra ci fu una forza della politica italiana e della gente. Eravamo tutti poveri, ma tutti volevano darsi da fare, lavorare per il Paese. E poi ricordiamo che la nostra situazione era difcilissima. Noi e i tedeschi avevamo perso la guerra e quando mio padre andò a Parigi per la Conferenza di pace ricordo bene le sue parole sugli sforzi fatti dal Paese sulla strada democratica, rivendicando anche la guerra di liberazione condotta dai partigiani e chiedendo credito e respiro per la Repubblica d’Italia in cerca di un futuro più giusto».
Rimasero celeberrime le sue parole di esordio davanti alle potenze vincitrici che dovevano stabilire i nuovi assetti e i nuovi equilibri dell’Europa e del mondo: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale », disse «sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me».
«Le ricordo bene. Il suo discorso fu accolto da un gelo totale. Dovette lavorare molto per ridare credibilità al nostro Paese. Ma ci riuscì».
Qual era l’idea forte che sosteneva i padri dell’Europa?
«Tutti e tre, sia Schuman sia Adenauer e naturalmente anche mio padre, avevano visto quanto era stato orribile farsi la guerra tra persone che avevano la stessa cultura, una cultura internazionale, di apertura. Non si poteva mandare i propri figli di nuovo a spararsi gli uni contro gli altri. Ecco allora l’idea di unire questi Paesi, ma come? Un colpo di genio, secondo me, fu quella di partire dai giacimenti della Ruhr e della Saar, al conne tra Francia e Germania, e di istituire la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. L’idea di mio padre era che occorresse creare un piccolo nucleo dal quale non ci si potesse più staccare e, attorno a questo, aggiungere via via altre piccole cose. Siamo ancora in cammino, ma spero che questo anniversario serva a far ricordare il punto di partenza. Quello che mio padre ripeteva sempre: “In Europa non ci faremo più le guerre”. E, nonostante tutto, questo, in realtà è successo».
Annachiara Valle



