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Giovanni Bachelet aveva 25 anni il giorno in cui Anna Laura Braghetti colpiva a morte suo padre Vittorio, presidente del Csm, il 12 febbraio del 1980, sulle scale della Sapienza, in nome e per conto delle Brigate rosse. Adesso ne ha 70, due in meno dell’allora ragazza che ha sparato su quelle scale e che è scomparsa il 5 novembre.
Bachelet nella vita non è un giurista è un fisico, e mentre partecipava a un incontro in ricordo di Giovanni Gronchi, organizzato dall’Associazione intitolata al padre al Consiglio superiore della magistratura, che ha sede a Palazzo Marescialli, recentemente intitolato proprio a Vittorio Bachelet, a una domanda dell’agenzia di AdnKronos, che gli chiedeva di commentare ha risposto: «Sì, lo so, la buona Anna Laura è morta, ma almeno dopo tanti anni di carcere, qualche anno da persona libera l'ha potuto fare... Sia mio padre, che anche Aldo Moro, che la Costituzione l'ha pure scritta, sarebbero di certo contenti che l'articolo 27 della Carta, almeno nel caso della Braghetti e di altri, è stato rispettato: la pena deve rieducare, dare un'altra possibilità...». Lo chiede la Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», un proposito spesso vanificato da condizioni carcerarie sovraffollate e inadeguate a un serio lavoro di recupero, altre volte perché manca la disponibilità a cambiare vita.
Anna Laura Braghetti, passata alla storia tragica degli anni Settanta come la "vivandiera" delle Br aveva dato il suo nome per l’intestazione del “covo”, l’appartamento in cui fu tenuto sequestrato Aldo Moro. Fu scelta per la giovane età che la faceva ritenere insospettabile. Inizialmente descritta come una delle più intransigenti, ma poi aveva scontato 22 anni prima di accedere alla liberazione condizionale, senza figurare mai tra “pentiti” e dissociati, e aveva seguito il programma di recupero previsto in carcere. Ha trascorso l’ultima parte della sua vita, prima da semilibera e poi da libera, dedicando il suo lavoro agli ultimi: nella sua presa di distanza dal passato hanno avuto un ruolo gli incontri con la “nemica” Francesca Mambro, che in quegli anni militava sul versante nero e con padre Adolfo Bachelet, sacerdote, fratello maggiore di Vittorio, gesuita.
Il giorno del funerale di suo padre Giovanni Bachelet prese la parola a nome della famiglia: «Preghiamo anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».
Nel 2023 in una intervista a Giovanni Bianconi avrebbe ricostruito la genesi di quelle parole limate da tutta la famiglia e molto ponderate e spiegò così il proprio punto di vista: «Si parlò molto delle parole della mia preghiera in chiesa, ma io non pensavo che dovessimo riconciliarci. Non eravamo uguali, io non sparavo a nessuno e mio padre nemmeno. In quel tempo qualcuno sparava e qualcuno veniva ucciso. Era una terribile asimmetria. Un’altra cosa era superare le restrizioni imposte dalle leggi Cossiga. Nessuno ricorda che il Csm, mio padre vicepresidente, diede un parere negativo perché avvertì una alterazione delle garanzie democratiche, per esempio nella triplicazione della durata delle pene afflittive. La giustizia e i diritti sono stati la sua ispirazione».
Parole che oggi dovrebbero essere ancora di monito tanto per quel giornalismo corrivo e spudoratamente invadente che mette davanti alle vittime nell’immediatezza dei delitti un microfono chiedendo del perdono. Quanto per quello che, invece di spiegare un aspetto tecnico, soffia sul fuoco quando una sentenza che condanna all’ergastolo non ha riconosciuto l’aggravante che la piazza avrebbe voluto. Il primo modo fa torto al senso del perdono, sia visto o meno con il filtro della fede, il secondo a quello del diritto.
Al primo Giovanni Bachelet dedica un pensiero da cristiano: «Ora si incontreranno tutti in Paradiso, dove penso - lo dico da cristiano - ci sia posto per chi ha scontato la sua pena, pagando il prezzo previsto dalla legge sulla terra e ora si troverà di fronte all'Eterno...». Al secondo il suo senso della giustizia umana: «Quando avviene questo, quando la pena non è una condanna senza speranza, è un successo della nostra democrazia, della nostra Costituzione». Se il primo attiene al mistero del cuore di ognuno e non si può chiedere a tutti, il secondo dovrebbe essere un patrimonio comune dal 1948.



