Crisi ma anche cambiamento: è questo il quadro complessivo delle adozioni internazionali disegnato dal Rapporto annuale pubblicato recentemente dalla Commissione Adozioni Internazionali (www.commissioneadozioni.it).

Il rapporto statistico rappresenta un prezioso strumento per comprendere non solo come sta andando l’adozione in Italia, ma anche chi sono oggi le famiglie accoglienti e i bambini che ne entrano a far parte.

Prima di tutto, la crisi: con 3.106 minori adottati nel 2012 da 2.469 famiglie, la curva delle accoglienze nel nostro paese si abbassa di oltre il 20%. E’ una percentuale pesante, ma si pone in un quadro di generale rallentamento delle adozioni nel mondo. Basta valutare il calo clamoroso dei Paesi occidentali maggiormente accoglienti: se negli anni 2004-2005 gli Stati Uniti accoglievano quasi 23mila bambini a scopo adottivo, nel 2012 si sono fermati a 9.668. Ancora più clamorosa la flessione della Francia, con 4.000 minori l’anno tra il 2004 e il 2005 fino ai 1.569 del 2012.

Quindi l’Italia rallenta, senza franare, ma è la stessa Cai a prefigurare un calo anche per gli anni prossimi, vista la diminuzione delle domande presentate ai tribunali per i minorenni dalle famiglie italiane per essere dichiarate idonee all’adozione internazionale. Gli stessi decreti d’idoneità, per quanto il dato relativo al 2012 sia ancora provvisorio, si sono letteralmente dimezzati negli ultimi sei anni (erano più di 6mila nel 2006, sono stati 3.023 nell’ultimo anno). «Il fenomeno», scrive la vicepresidente Cai Daniela Bacchetta, «trova verosimilmente la sua causa nella diffusa informazione e la consapevolezza rispetto alla crescente complessità dell’adozione internazionale, non meno che nella crisi economica».
L’adozione internazionale resta un percorso lungo: la Cai ha misurato l’attesa complessiva, dalla domanda di adozione in tribunale fino all’autorizzazione d’ingresso del bambino, trovando una media di 3,4 anni.

Il Paese di origine da cui è arrivato il maggior numero di minori è stato, come nel 2011, la Federazione Russa, con 749 minori autorizzati all’ingresso, pari al 24,1% del totale. Seguono la Colombia con 310 minori (10%), il Brasile con 304 minori (7,56%), l’Etiopia con 233 (7,5%), l’Ucraina con 225 (7,2%) e la Repubblica Popolare Cinese con 171 (3,6%).
L’età media dei piccoli è di quasi sei anni (dalla Bielorussia, Messico e Costa Rica sono arrivati i più grandi, dai 14 agli 8 anni mentre da Mali, Senegal e Corea i più piccini, di poco più di un anno).
Si adotta di meno ma si adotta con maggior consapevolezza: non si può spiegare in altro modo il dato interessante legato al numero di coppie che hanno adottato bimbi con bisogni speciali o particolari (ovvero con una sfera di patologie/difficoltà più o meno superabili). Ben 429 coppie su 3.106, pari al 13,8%, ha fatto questa scelta di accoglienza.
Per quanto riguarda gli enti, quelli operativi nel 2013 sono stati 63, ma solo 4 hanno assistito più di 100 coppie e solo 7 hanno condotto all’ingresso in Italia di più di 100 minori. Tra chi assiste il maggior numero di famiglie si trovano Cifa, AiBi, Ariete e Spai.

Che futuro avrà l’adozione internazionale? E’ la stessa vicepresidente Bacchetta a ricordare la storia italiana per mostrare la mutevolezza dello scenario internazionale. Se nel Secondo Dopoguerra l’Italia era un bacino di provenienza di bambini che venivano adottati all’estero - in particolare negli Usa - e oggi rappresenta uno dei più importanti paesi di accoglienza, lo stesso si può vedere oggi per tanti paesi emergenti che, superate le difficoltà economiche o le fasi di instabilità sociale, ora stanno radicalmente cambiando il proprio sistema di welfare e hanno sempre meno bisogno dell’adozione internazionale.

All’interno di queste fluttuazioni si aprono nuovi scenari.
La Cai ricorda che nuove collaborazioni si aprono e si rafforzano: cresce il numero delle adozioni realizzate dalle famiglie italiane nella Repubblica Popolare Cinese; la nuova normativa della Romania consente alle coppie rumene e italo-rumene residenti in Italia di avviare procedure adottive nel loro Paese d’origine; dopo la recente missione in Italia dei rappresentanti dell’Autorità centrale di Haiti, si profila la possibilità di operare anche in questo Paese.
«Non siamo adottifici. Ci siamo presi una responsabilità sulla vita dei bambini e sulle famiglie che li accolgono. Non dobbiamo fare adozioni a tutti i costi, ma solo adozioni nel miglior modo possibile». Paola Crestani, presidente del Ciai-Centro Italiano Aiuti all’Infanzia (www.ciai.it), legge con lucida serenità i dati delle adozioni internazionali pubblicati dalla Cai.

In occasione della propria assemblea annuale, che si è svolta a Cervia nel week end del 19-21 aprile con una tre giorni di conferenze e dibattiti, la storica associazione ha coinvolto anche le “sue” famiglie, un universo numeroso e multietnico che appare la migliore risposta possibile a chi vede il settore dentro a una crisi inesorabile.

Il punto di vista del Ciai, con la sua esperienza che comincia alla fine degli anni Sessanta con le prime adozioni, è una buona cartina di tornasole per guardare avanti, verso le grandi questioni emergenti nel settore.

«C’è un calo delle disponibilità ad adottare? E’ un dato che non sorprende, considerate le maggiori risorse richieste oggi alle coppie che si avvicinano all’adozione», spiega Crestani. «I bambini adottabili, nel mondo, sono davvero i più vulnerabili. Hanno vissuto molte esperienze traumatiche, tante privazioni legate alla povertà, sono grandicelli. Per la buona riuscita dell’incontro con i loro futuri genitori, e poi dell’adozione stessa, sappiamo che è necessario lavorare intensamente nella preparazione della coppia ma sempre più anche del bambino. E poi garantire un accompagnamento successivo capillare: per quanto ci riguada, intensificando il servizio presso le sedi territoriali».

L’ente sta sperimentando con successo un percorso di affiancamento psicologico per le mamme adottive, per le quali esiste – esattamente come per le madri biologiche - la possibilità di una depressione legata alle nuove responsabilità genitoriali, allo stravolgimento delle abitudini di vita, alle tante “prove” psicologiche di questa nuova fase.

Ma il grande bacino delle famiglie Ciai offre anche uno straordinario panorama su chi sono gli adottati adulti: i ragazzi accolti quaranta, trenta, vent’anni fa che oggi, a loro volta, hanno "fatto famiglia" e sono un pezzo d’Italia troppo spesso ignorato. Per questo l’associazione ha lanciato, dall’assemblea di Cervia, un invito a tutti gli uomini e le donne adottati – con l’adozione nazionale e internazionale – per ritrovarsi al primo Meeting degli Adottati Adulti che si terrà a Bologna il prossimo 22 giugno. Un’occasione che li rende per la prima volta protagonisti, con le loro storie e le loro famiglie, a raccontare la loro speciale esperienza di vita.
Quali sono le maggiori paure delle coppie che si avvicinano al percorso dell’adozione? A cosa addebitare il sostanziale dimezzamento delle domande depositate nei tribunali italiani?

«In questi ultimi anni abbiamo assistito a una presa di coscienza progressiva sull’esperienza dell’adozione, anche grazie all’aumento di fonti di informazione di prima mano, blog e testimonianze», spiega Marco Chistolini, psicologo e psicoterapeuta familiare responsabile tecnico-scientifico del Ciai. «Il risultato è che gran parte delle coppie che oggi si accingono ad adottare sono molto più consapevoli e informate riguardo alle caratteristiche dei bambini adottabili. Rispetto alle convinzioni, anche superficiali, del passato, i nuovi futuri genitori sono più prudenti e sanno che l’amore, di per sé, può non essere sufficiente a guarire le ferite di questi piccoli».

Ma quali sono le maggiori fonti di ansia
per le coppie che iniziano il cammino adottivo? «Esistono due variabili particolarmente critiche», prosegue lo psicoterapeuta. «La prima riguarda l’età. Quasi tutte le coppie sanno che l’età media dei bambini si aggira intorno ai 6 anni, perciò non troviamo quasi più nessuno con il sogno del bambino piccolissimo. D’altra parte, quando l’ipotesi di abbinamento sposta l’età oltre i 6 anni, verso gli 8 o i 9, la preoccupazione di molti è che possa essere più difficile realizzarne l’integrazione. Inoltre, c’è un po’ di delusione all’idea di non poter effettivamente “accudire” un bambino già grandicello».

«La seconda fonte di ansia riguarda la disabilità fisica. Sono tanti i futuri genitori che temono di non essere in grado di far fronte a questo tipo di problema, mentre si dicono disponibili ad affrontare l’ipotesi della ferita psicologica, ad esempio quella dei bambini maltrattati o abusati».

La risposta a questo tipo di pregiudiziali è sempre la stessa: «L’ansia è legata al’incognita. E’ meglio prepararsi, essere informati e consapevoli per non sentirsi in balia degli eventi», raccomanda il dottor Chistolini. «E poi, alla fine di tutto, pensare sempre che il destino è ancora tutto da scrivere. Ogni bambino, per quanto ferito, ha sempre incredibili capacità di recupero».