Dalla letteratura all’arte contemporanea, dai mass media fino alla geopolitica papale. Guardando a trent’anni di sue pubblicazioni – dal primo libro, Tracce profonde (1993) al recentissimo L’atlante di Francesco (2023) – si resta sorpresi dalla varietà degli interessi di padre Antonio Spadaro. Eppure solo dopo tre decadi si è sentito pronto a scrivere un libro su Gesù, quasi gli avesse richiesto un apprendistato lungo e variegato, come quello di certi scrittori americani a lui cari. Gesuita e direttore da dodici anni di La Civiltà Cattolica, gli rivolgiamo – capovolgendola – la prima domanda che pose a papa Francesco.

Chi è Antonio Spadaro?

«Una persona che vive lo stupore delle cose. Che ha sempre vissuto l’esperienza con una certa fiducia nella bontà dell’esistenza e delle persone. E che rimane colpita soprattutto dalla diversità. Forse l’immagine migliore è quella di un bambino con gli occhi spalancati sulla realtà e che ha il desiderio di raccontarla alle persone che sono con lui».

Finora ha scritto saggistica, mentre Una trama divina è narrativa. Ri-racconta i Vangeli, all’inseguimento di un Gesù inafferrabile. Perché questo cambio?

«Ho sempre vissuto la critica in maniera narrativa. Che fosse la lettura di Carver o di Hopkins, l’ascolto di Springsteen o di Waits, la visione di un quadro di Warhol o Rothko… per me fare critica significa raccontare l’esperienza che io faccio di un’opera. Anche se mi sono laureato in Filosofia, ho preso consapevolezza di essere attratto dalla narrazione come specchio della vita, piuttosto che dalle idee. Me lo fecero capire i miei alunni quando venni mandato a insegnare lettere all’Istituto Massimo di Roma. Davanti al Vangelo, mi è stato ancora più chiaro».

Un sacerdote si confronta ogni giorno con il Vangelo. Non rischia la routine?

«Penso sia più importante la bellezza della frequentazione costante. È un riconoscimento e un affidamento. Il rapporto con la parola di Dio è come quello con l’aria che respiro. Diventa come l’ambiente dove ti muovi, è ciò che ti dà gli occhi per leggere l’esperienza».

Eppure scrivere queste pagine non è stato immediato…

«Mi sono reso conto che dovevo avere un’altra conoscenza di Gesù. Dovevo mettere tra parentesi lo studio e l’esegesi, perché rischiavano di bloccare il rapporto diretto con la pagina. Dovevo lasciarmi provocare di più, eliminando la crosta per l’abitudine. E ritrovare un rapporto con Gesù che fosse nuovo».

E ha scoperto…

«…che devo convertirmi, perché si era depositata su di me una patina tra il moralismo e la devozione. Era un po’ come la Cappella Sistina prima del restauro: bellissima, ma con sopra una patina scura. Farla saltare – almeno un po’ – mi ha aiutato spiritualmente a ritrovare i colori di Gesù».

Che cosa l’ha colpito di più?

«La costante dei discepoli che non capiscono. Altre volte, ad esempio nel Vangelo di Giovanni, il linguaggio stesso di Gesù è tra l’ironico e l’ambiguo. Usa il fraintendimento come stile di comunicazione. Mi rendo conto che una cifra importante per stare con il Signore è la consapevolezza che spesso Lui dice delle cose, le ascolti, sei convinto di averle comprese e invece non hai capito…». ...

Ma lui lo sa.

«Esatto. Ho anche ammirato la sua pazienza, e questo mi ha confortato, perché anch’io ho fatto l’esperienza di aver capito poco, o di aver compreso alcune cose ma non altre».

Ci sono versetti a cui è più legato?

«Amo il Vangelo di Marco, così minimalista e capace di farmi toccare l’esperienza in maniera diretta. Ma mi ha sempre colpito un passo dello “speculativo” Giovanni: “Io sono venuto perché abbiano la vita e perché l’abbiano in abbondanza”. Questo versetto mi è molto, molto caro. Fa capire che la presenza del Signore non sottrae vita, ma la aggiunge, la amplifica, aumenta la capacità di fare esperienza. Dio non è invidioso della mia felicità, ma al contrario vuole che io faccia esperienza della vita in maniera abbondante, e della vita più vera e più autentica».

Gesù non teme i nostri errori?

«No, anche se rimprovera i discepoli per il loro essere tardi a comprendere. Quello di Gesù non è un pietoso e continuo giustificare, ma uno scuotere, che però considera l’incomprensione come parte ineliminabile della propria missione. Sento il pungolo, ma al tempo stesso il rapporto di un’amicizia profonda che fa essere Gesù quello che è, e permette che i discepoli non capiscano… sapendo che, prima o poi, ci arriveranno».

A proposito di cambiamenti. Un tempo – giovane gesuita – rifuggiva le telecamere: la mettevano a disagio. Oggi interviene sulle reti nazionali, incontra il Pontefice e capi di Stato…

«A un certo punto, l’unico modo che avevo per poter seguire papa Francesco nei suoi viaggi e vederlo in azione era accettare la proposta di fare il commentatore per la Rai. Sono una persona di per sé molto timida e ansiosa, ma mi rendo conto che ci sono situazioni in cui bisogna giocarsi e questo implica che mi butti in imprese che non avrei mai immaginato di poter compiere!».

Servire il Vangelo significa essere disposti a cambiare contro il proprio carattere?

«Penso che la vita, in generale, ci chiede dei salti a volte non previsti – o non prevedibili – che si scontrano con la nostra sensibilità. Allora ci si mette in gioco oppure si resta nella comfort zone. Bisogna avere l’abilità – e l’umiltà – di essere disponibili alle sfide, perdendo le certezze, come accade quando ci si espone».

Gesù non ama la paura. «Non abbiate timore», dice il Risorto. Come si prendono le decisioni?

«Non c’è un modo standard. La base è avere gli occhi aperti sulla realtà. Non si prendono decisioni a tavolino, considerando le cose “come dovrebbero essere”: bisogna prima vedere le cose così come sono. Un altro criterio è non prendere mai decisioni perché si è stanchi, depressi o sfiduciati. Quando si sta male si vorrebbe cambiare subito, ma in genere questo non porta mai alla soluzione di un problema: non si dovrebbe “rompere” o “lasciare”, ma scegliere di “abbracciare altro”. L’ideale per prendere una decisione sono quindi un discreto equilibrio e una grande chiarezza positiva su quello che si deve fare. Dunque: grande attenzione alla realtà e uno spirito positivo».


un uomo a cui piace raccontare
Nato a Messina, padre Antonio Spadaro è entrato nel seminario della Compagnia di Gesù subito dopo la laurea in Filosofia. Dopo la licenza in Teologia Fondamentale si è diplomato in Comunicazioni Sociali e ha poi conseguito un dottorato in Teologia. È stato il primo sacerdote ad attivare un account Twitter, nel 2007. Dal 1° ottobre 2011 dirige La Civiltà Cattolica, la rivista edita dai Gesuiti. Collabora con il quotidiano la Repubblica ed è autore della rubrica di commento al Vangelo sul Fatto Quotidiano. Il suo ultimo libro s’intitola Una trama divina. Gesù in controcampo (Marsilio 2023).