In tempo di crisi di rappresentanze e di calo di popolarità delle feste comandate, forse avrebbe senso unificare il primo maggio e il 2 giugno in una sola ricorrenza. Il nesso è lampante. Non soltanto per cause per così dire filologiche, cioè  perché “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Ma perché il lavoro è la dimensione umana che più di ogni altra appiana le differenze e unifica. Ed è per eccellenza un diritto di cittadinanza. Di lavoro abbiamo tutti bisogno, in un senso interiore. Di fronte a questa esigenza ogni uomo è “uguale” e nessuno è straniero, a prescindere da quanto venga pagato e dalla forma contrattuale che il mercato gli assegna. “Chi ha le membra rotte per lo sforzo di una giornata in cui è sottomesso alla materia  - scriveva Simone Weil - porta nella sua carne la realtà dell’universo come una spina. La difficoltà per lui è di guardare e amare. Se ci arriva ama la realtà”.

Negli anni abbiamo espropriato il lavoro di questa funzione. Non solo perché lo abbiamo reso precario. Soprattutto perché gli abbiamo preferito il consumo come grande collante di unità, come fattore politico uificante. Ecco perché, oggi più che mai, servirebbe unire le due festività. Per ribadire che l’Italia è ancora, vuole e deve continuare a una Repubblica fondata non sul consumo, ma sul Lavoro. Perché è quel che ci rende cittadini.