La rielezione di Vladimir Putin per un quinto mandato presidenziale, domenica 17 marzo, con più dell'87% dei voti, gli consente di restare al potere fino al 2030. Se poi volesse, Putin in quell’anno avrà 78 anni e potrebbe candidarsi per un sesto mandato, dal momento che la Costituzione è stata modificata in tal senso. Putin in quella data sarebbe comunque più giovane di Joe Biden, che a novembre di quest’anno (a 81 anni) cercherà di essere rieletto alla presidenza degli Stati Uniti.

Putin ormai regna sulla Russia da un quarto di secolo e da 25 anni i russi, quando vanno a votare, non hanno altre possibilità di scelta. Un’opposizione non c’è. E quando c’è viene silenziata con arresti, carcere, tortura, tentativi di avvelenamento. Oppure  viene esclusa dalle candidature. Chi si salva dalle grinfie di Putin deve scegliere l’esilio. Quando fu eletto nel 2000, Putin prese il 53,44 dei voti. Ora il suo consenso sfiora il 90 per cento. “Non è un’elezione, ma una farsa. L’unico commento positivo possibile è che si tratta di una dimostrazione di quanto sia potente l’idea della democrazia, al punto che pure i russi devono fingere di averla”, ha acutamente osservato la scrittrice e analista americana Anne Applebaum, autrice di una storia dei gulag, i campi di prigionia del regime sovietico.

Oggi in Russia un dibattito pubblico sui temi di politica interna e internazionale è inesistente. Prevalgono l’apatia e la rassegnazione. Come scrive lo storico Orlando Figes nella sua “Storia della Russia. Mito e potere da Vladimir il Grande a Vladimir Putin”, “il popolo russo sa dalla sua memoria collettiva, trasmessa di generazione in generazione, di non dover mettere in discussione le autorità, di dover evitare difficili questioni morali, in poche parole di dover accettare ciò che gli viene detto”. Questo avveniva ia tempi degli Zar e sta ancora accadendo nella Russia di oggi, un Paese in stato di guerra permanente. “La narrativa statale ha generato l’idea che sia la Russia contro tutti gli altri”, ha dichiarato al New York Times Katerina Tertytchnaya, professoressa di politica comparata all’Università di Oxford. “È molto importante questa narrazione dell’essere sotto assedio. La mancanza di alternative è anche citata come uno dei motivi per cui le persone sostengono Putin. Le persone non riescono a concepire un’alternativa”.

Difficile immaginare nel breve periodo un sussulto democratico o una rivolta che possa far cadere Putin. Il presidente si è circondato di fedelissimi e non si vedono crepe ai vertici del potere.  Perciò oggi il futuro di Putin si gioca più in Ucraina che in Russia.

“Se il voto presidenziale è davvero un referendum sulla guerra della Russia, le elezioni danno a Putin mano libera per continuare in Ucraina come ritiene opportuno?”, si chiede la CNN. Sul fronte della guerra il momento per la Russia sembra propizio. In Ucraina orientale sono cadute le città di Backhmut e di Avdiivka. L’Ucraina appare in affanno e le esitazioni occidentali riguardo al proseguimento degli aiuti a Zelensky (in particolare al Congresso degli Stati Uniti, dove un pacchetto cruciale di aiuti militari a Kiev rimane bloccato) in questa fase rafforzano Putin. Non c’è da aspettarsi un passo indietro rispetto alla guerra.

Va infine detto che il  risultato delle elezioni presidenziali in Russia si inserisce in un quadro più ampio, che mostra un arretramento sempre più marcato della democrazia nel mondo. Secondo un rapporto pubblicato in questi giorni dall’istituto di ricerca svedese V-Dem, dal 2009 la quota di popolazione mondiale che vive in Paesi autocratici ha superato quella che vive in Paesi democratici: il 71% della popolazione mondiale, ovvero 5,7 miliardi di persone, vive attualmente in autocrazie. Si tratta di un aumento del 48% rispetto a dieci anni fa.

(foto in alto, ANSA)