«Il Parlamento ha votato ed è sovrano, ma confidiamo che in seconda lettura si possa discutere qualche miglioramento perché interventi spot su questa materia possono rendere poco armonioso il quadro complessivo». Così il ministro della Giustizia Paola Severino ha commentato, a caldo, il voto favorevole della Camera all’emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati, inserito dalla Lega in occasione del voto sulla legge Comunitaria, e approvato stamattina con 264 voti favorevoli e 211 contrari.
Il Governo Monti aveva dato parere contrario ed è andato sotto. La materia è caldissima. Perché mette di mezzo una questione che potenzialmente sfiora un principio costituzionale, l’indipendenza della magistratura, astratto in apparenza, indispensabile nei fatti a che la legge sia davvero uguale per tutti.
Alla luce di un concetto che potremmo tradurre in soldoni in “chi sbaglia deve pagare”, l’emendamento introduce l’aspetto della responsabilità civile diretta del magistrato. La responsabilità civile infatti è già prevista ma è indiretta: oggi chi viene ingiustamente danneggiato dall’errore giudiziario può fare causa allo Stato, sarà lo Stato che, perdendo la causa, si rivarrà sul magistrato chiendendogli i danni. Se la responsabilità è diretta, invece, la causa civile con richiesta di risarcimento danni potrà essere intentata direttamente al magistrato, con i pericoli intimidatori che questo comporta quando dall’altra parte ci sia potere forte economicamente, politicamente o sul piano criminale.
Si tratta di un tema complesso che ha a che fare con la garanzia che spetta al cittadino che della giustizia fruisce. Anche per questo l’emendamento approvato con voto segreto, per il momento alla Camera (dovrà passare in Senato) ha innescato immediate contrastanti reazioni: favorevoli da parte di Pdl e Lega, contrarie da parte di Pd e Italia dei valori. Altri come Casini, pur ritenendo giusta in astratto la norma, concordano nel ritenere che «La legge comunitaria era una sede sbagliata e che il testo andava formulato in modo diverso». Anche Giulia Bongiorno, avvocato penalista, esponente di Futuro e Libertà, nel condividere l’idea di votare testi in cui chi sbaglia paga, ma aggiunge: «Io non voglio magistrati terrorizzati nell'interpretare la legge o che scrivono sentenze con mano tremolante. Non rendiamoli terrorizzati di fronte alla legge». Lapidario il commento del presidente dell’associazione magistrati Luca Palamara: «Con tutta evidenza un tentativo di intimidazione nei confronti della magistratura».
Scriveva Piero Calamandrei nell’Elogio dei giudici scritto da un avvocato: «La peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama il conformismo. È una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza; una specie di ossessione, che non attende le raccomandazioni esterne, ma le previene; che non si piega alle pressioni dei superiori, ma se le immagina e le soddisfa in anticipo».
Elisa Chiari
Se il giudice sbaglia, il cittadino o l'ente danneggiato può impugnare la decisione. La migliore garanzia sta nella rapidità della giustizia, verso la quale bisogna muovere senza indugi. Se il processo, pur regolare, danneggia ingiustamente qualcuno (un arrestato sulla base di gravi indizi, un condannato con prove poi smentite da nuovi elementi emersi successivamente risultano innocenti) vi deve essere un risarcimento adeguato da parte dello Stato che amministra la giustizia.
Questo importa al danneggiato, non che il giudice paghi di tasca propria. L'esperienza dei Paesi più civili esclude la responsabilità diretta del magistrato, che invece può rispondere dopo che sia stato chiamato in causa lo Stato, a seconda della gravità dell'errore e delle sue cause, in misura più o meno elevata.
E si comprende perché: una parte può essere potentissima e averne di fronte una assai più debole; una può provare l'eventuale danno con facilità, l'altra no; l'una può insomma ipotizzare un danno rilevantissimo rispetto all'altra. Un accusato può far parte di associazioni mafiose e avere mezzi tali da aggredire comunque il giudice citandolo pretestuosamente in giudizio. Possono trovarsi di fronte l'operaio e l'azienda multinazionale che ha mancato in misure di sicurezza, l'azienda alimentare e il consumatore intossicato, l'armatore e il passeggero. Davanti alla condotta processuale arrogante e minacciosa del potente, che farebbe il giudice cui si fa balenare la richiesta di centinaia di milioni di danni? Come si difenderebbe da un imputato potente - non mancano esempi recenti - che l'aggredisce con ogni mezzo?
Non c'è assicurazione che copra rischi di tale entità per somme accessibili. Davanti a una questione nuova, della quale la vita fa continua proposta, chi oserà esporsi se un grande danno viene asserito da una parte? Potrebbe diffondersi la timidezza, la propensione al compromesso se non alla ragione data al più forte. Che interesse hanno i cittadini a intimidire i giudici? Nessuno, se si eccettuano i troppo potenti, i ricchi corrotti, i politici impuniti, gli arroganti. Ai cittadini importa che lo Stato paghi direttamente a loro e poi si rivolga nei giusti limiti al giudice che abbia agito malamente con dolo o colpa grave.
Occorre piuttosto rafforzare il controllo disciplinare, riorganizzare. La Corte di Giustizia europea ha ribadito questa linea sulla base di secolare esperienza. Davvero non c'è aria di vendetta nel voto della maggioranza della Camera? Davvero non gioca contro i giudici, e quindi prima di tutto contro i cittadini, chi voleva portarli in piazza per minacciare il Tribunale che lo sta processando, e non vi è riuscito?
Adriano Sansa
«L'assalto alla giustizia continua come se niente fosse cambiato. Chi si illudeva che con il nuovo Governo sarebbe mutato qualcosa si è sbagliato». Così Gian Carlo Caselli, procuratore a Torino, commenta l'approvazione della norma sulla responsabilità civile dei magistrati. «L'obiettivo - ha aggiunto - è di avere una magistratura burocrate e timorosa verso i potenti».
Questo problema si aggiunge ai tanti che il nuovo Anno giudiziario ha ricevuto in eredità: organici ridotti all’osso, processi lenti, emergenza carceri. Stando ai dati forniti qualche giorno fa dal ministro Paola Severino, al momento risultano in servizio 8.834 magistrati ma ne occorrerebbero 1.317 in più per coprire tutti i posti previsti.
L’arretrato da smaltire fa paura: al 30 giugno 2011 erano circa 9 milioni i processi da chiudere, 5,5 milioni per il civile e 3,4 per il penale. Il Guardasigilli ha ammesso che destano «forti preoccupazioni» anche i tempi medi di definizione che nel civile sono pari a sette anni e tre mesi, mentre nel penale equivalgono a quattro anni e nove mesi. Le carceri, infine, rigurgitano di persone, i detenuti sono poco meno di 67 mila, un’enormità.
Il Governo Monti aveva dato parere contrario ed è andato sotto. La materia è caldissima. Perché mette di mezzo una questione che potenzialmente sfiora un principio costituzionale, l’indipendenza della magistratura, astratto in apparenza, indispensabile nei fatti a che la legge sia davvero uguale per tutti.
Alla luce di un concetto che potremmo tradurre in soldoni in “chi sbaglia deve pagare”, l’emendamento introduce l’aspetto della responsabilità civile diretta del magistrato. La responsabilità civile infatti è già prevista ma è indiretta: oggi chi viene ingiustamente danneggiato dall’errore giudiziario può fare causa allo Stato, sarà lo Stato che, perdendo la causa, si rivarrà sul magistrato chiendendogli i danni. Se la responsabilità è diretta, invece, la causa civile con richiesta di risarcimento danni potrà essere intentata direttamente al magistrato, con i pericoli intimidatori che questo comporta quando dall’altra parte ci sia potere forte economicamente, politicamente o sul piano criminale.
Si tratta di un tema complesso che ha a che fare con la garanzia che spetta al cittadino che della giustizia fruisce. Anche per questo l’emendamento approvato con voto segreto, per il momento alla Camera (dovrà passare in Senato) ha innescato immediate contrastanti reazioni: favorevoli da parte di Pdl e Lega, contrarie da parte di Pd e Italia dei valori. Altri come Casini, pur ritenendo giusta in astratto la norma, concordano nel ritenere che «La legge comunitaria era una sede sbagliata e che il testo andava formulato in modo diverso». Anche Giulia Bongiorno, avvocato penalista, esponente di Futuro e Libertà, nel condividere l’idea di votare testi in cui chi sbaglia paga, ma aggiunge: «Io non voglio magistrati terrorizzati nell'interpretare la legge o che scrivono sentenze con mano tremolante. Non rendiamoli terrorizzati di fronte alla legge». Lapidario il commento del presidente dell’associazione magistrati Luca Palamara: «Con tutta evidenza un tentativo di intimidazione nei confronti della magistratura».
Scriveva Piero Calamandrei nell’Elogio dei giudici scritto da un avvocato: «La peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama il conformismo. È una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza; una specie di ossessione, che non attende le raccomandazioni esterne, ma le previene; che non si piega alle pressioni dei superiori, ma se le immagina e le soddisfa in anticipo».
Elisa Chiari
Se il giudice sbaglia, il cittadino o l'ente danneggiato può impugnare la decisione. La migliore garanzia sta nella rapidità della giustizia, verso la quale bisogna muovere senza indugi. Se il processo, pur regolare, danneggia ingiustamente qualcuno (un arrestato sulla base di gravi indizi, un condannato con prove poi smentite da nuovi elementi emersi successivamente risultano innocenti) vi deve essere un risarcimento adeguato da parte dello Stato che amministra la giustizia.
Questo importa al danneggiato, non che il giudice paghi di tasca propria. L'esperienza dei Paesi più civili esclude la responsabilità diretta del magistrato, che invece può rispondere dopo che sia stato chiamato in causa lo Stato, a seconda della gravità dell'errore e delle sue cause, in misura più o meno elevata.
E si comprende perché: una parte può essere potentissima e averne di fronte una assai più debole; una può provare l'eventuale danno con facilità, l'altra no; l'una può insomma ipotizzare un danno rilevantissimo rispetto all'altra. Un accusato può far parte di associazioni mafiose e avere mezzi tali da aggredire comunque il giudice citandolo pretestuosamente in giudizio. Possono trovarsi di fronte l'operaio e l'azienda multinazionale che ha mancato in misure di sicurezza, l'azienda alimentare e il consumatore intossicato, l'armatore e il passeggero. Davanti alla condotta processuale arrogante e minacciosa del potente, che farebbe il giudice cui si fa balenare la richiesta di centinaia di milioni di danni? Come si difenderebbe da un imputato potente - non mancano esempi recenti - che l'aggredisce con ogni mezzo?
Non c'è assicurazione che copra rischi di tale entità per somme accessibili. Davanti a una questione nuova, della quale la vita fa continua proposta, chi oserà esporsi se un grande danno viene asserito da una parte? Potrebbe diffondersi la timidezza, la propensione al compromesso se non alla ragione data al più forte. Che interesse hanno i cittadini a intimidire i giudici? Nessuno, se si eccettuano i troppo potenti, i ricchi corrotti, i politici impuniti, gli arroganti. Ai cittadini importa che lo Stato paghi direttamente a loro e poi si rivolga nei giusti limiti al giudice che abbia agito malamente con dolo o colpa grave.
Occorre piuttosto rafforzare il controllo disciplinare, riorganizzare. La Corte di Giustizia europea ha ribadito questa linea sulla base di secolare esperienza. Davvero non c'è aria di vendetta nel voto della maggioranza della Camera? Davvero non gioca contro i giudici, e quindi prima di tutto contro i cittadini, chi voleva portarli in piazza per minacciare il Tribunale che lo sta processando, e non vi è riuscito?
Adriano Sansa
«L'assalto alla giustizia continua come se niente fosse cambiato. Chi si illudeva che con il nuovo Governo sarebbe mutato qualcosa si è sbagliato». Così Gian Carlo Caselli, procuratore a Torino, commenta l'approvazione della norma sulla responsabilità civile dei magistrati. «L'obiettivo - ha aggiunto - è di avere una magistratura burocrate e timorosa verso i potenti».
Questo problema si aggiunge ai tanti che il nuovo Anno giudiziario ha ricevuto in eredità: organici ridotti all’osso, processi lenti, emergenza carceri. Stando ai dati forniti qualche giorno fa dal ministro Paola Severino, al momento risultano in servizio 8.834 magistrati ma ne occorrerebbero 1.317 in più per coprire tutti i posti previsti.
L’arretrato da smaltire fa paura: al 30 giugno 2011 erano circa 9 milioni i processi da chiudere, 5,5 milioni per il civile e 3,4 per il penale. Il Guardasigilli ha ammesso che destano «forti preoccupazioni» anche i tempi medi di definizione che nel civile sono pari a sette anni e tre mesi, mentre nel penale equivalgono a quattro anni e nove mesi. Le carceri, infine, rigurgitano di persone, i detenuti sono poco meno di 67 mila, un’enormità.
Alberto Chiara


