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Se da un lato ci sono i Neet, cioè i giovani inattivi che non studiano e non lavorano, dall’altro ci sono gli Eet, ovvero gli Employed - Educated and Trained, 175 mila ragazzi e ragazze fra i 15 e i 29 anni, come si legge nella recente ricerca di Censis e Confcooperative, che dopo aver studiato non solo lavorano ma aprono una loro impresa in diversi settori, da quelli più tecnologici ai più tradizionali. Gli Eet hanno una speciale marcia in più, talento e voglia di fare, si mettono in gioco, osano, sognano. Anche se sono solo dei teenager. C’è chi pilota aerei di linea a soli 20 anni ed è già ai comandi di un aereo Ryanair; c’è chi ha progettato un drone per portare farmaci in zone disagiate; o chi a 16 anni è la più giovane paracadutista italiana. Noi siamo andati a conoscere tre di loro, che in diversi ambiti si sono distinti per la loro bravura unita a una giusta dose di tenacia. Valerio Pagliarino che si è inventato una banda ultralarga laser per portare Internet anche nei posti più sperduti; la milanese Ludovica Medaglia, che al suo esordio nella scrittura ha vinto il Campiello giovani, e Beatrice Vendramin, attrice della serie tv di successo Alex & Co e seguitissima sui social dai ragazzini.
VALERIO PAGLIARINO. «HO PORTATO INTERNET OVUNQUE»
Una connessione ultraveloce che riesce ad arrivare anche nel centro abitato più sperduto. Ecco cosa si è inventato Valerio Pagliarino, un giovane di 16 anni di Castelnuovo Calcea (Asti), insignito del Premio Giovani scienziati Ue, l’Oscar europeo dei giovani innovatori del mondo della scienza. «LaserWAN, ovvero un progetto per abbattere il “digital divide”», racconta, «collegando alla banda larga zone remote, difficili da raggiungere con la moderna tecnologia in fibra ottica».
Cresciuto in un posto sufficientemente isolato, si è sentito spinto a ragionare su qualcosa che portasse benecio a molti: «Abitando in un paese piccolo dove è difficile avere connessioni a Internet, se non a prezzi inaccessibili, dove ci sono enormi difficoltà anche solo per consultare un quotidiano, una foto, non parliamo di un filmato, ho progettato una tecnologia che utilizzi dei raggi di luce invisibili che vengono proiettati da ricetrasmettitori ottici installati sui tralicci delle linee di alta e media tensione. Gli stessi, per intenderci, che portano la corrente elettrica anche nei posti più sperduti. Così facendo sarebbe come dotare quei posti di una fibra ottica di altissima velocità senza scavi, ma sfruttando l’aria. E quindi abbattendo i costi».
Un’infrastruttura più che una tecnologia: «Non è un’invenzione stile robottino. Il mio è un progetto che si applica a larga scala. Ed ecco perché non potevo fare un modello in scala reale. Ma ho fatto dei test, con schede elettroniche e numerosi elementi acquistati su Internet e qualche dispositivo ricuperato dall’aspirapolvere e da due vecchi telecomandi».
Valerio, che frequenta la terza liceo scientico di Nizza Monferrato e che, pur essendo appassionato da sempre di elettronica, lo è anche di batteria e ciclismo, non dipende dalla tecnologia. «Per esempio non ho WhatsApp, nonostante gli amici mi facciano pressione. Internet lo uso molto, ma lo ritengo un utilissimo mezzo, non un fine. È un indispensabile mezzo di comunicazione e di informazione. Ma niente di più». Del resto mamma Daniela e papà Danilo hanno cresciuto lui e la sorellina Agnese di 13 anni insegnando loro la bellezza delle relazioni. «I miei genitori mi hanno sempre indicato la strada dei rapporti umani e a non stare appiccicato al cellulare. Poi io ci ho messo cognizione, perché mi rendo conto dei pericoli. Cerco, quindi, di condividere informazioni di cui poi non pentirmi, anche se non credo sia questo il massimo pericolo che si può correre. Bensì le ore e ore che passi dietro allo schermo senza rendertene conto».
Valerio è stato contento del premio ricevuto e dei cinque giorni a Bruxelles, ma mai quanto i nonni: «Il nonno Angelo si è messo a piangere e ha esclamato: “È stato il giorno più bello della mia vita”». E da grande sogna «di fare ricerca nel campo della fisica elettronica e informatica, per inventare qualcosa che sia utile e migliori la vita delle persone».
LUDOVICA MEDAGLIA. «SCRITTURA E PASSIONE PER I NUMERI»
Un racconto scritto quasi per caso, in cui riversare la sua passione più grande, la musica classica, e ritrovarsi incredula a vincere il Premio Campiello giovani. È la favola bella di Ludovica Medaglia, milanese di 17 anni, che ci confida come prima di quella esperienza non aveva mai scritto nulla. Ma evidentemente il talento ce l’ha nel sangue. E dire che l’italiano non è neanche la sua materia preferita: le piacciono di più il greco e soprattutto la matematica, per la quale ha una vera passione.
«Mi interessa specialmente la dimensione astratta di ogni cosa, l’elucubrazione mentale, mi affascinano le dimostrazioni teoriche», dice. Poi c’è il pianoforte, che suona da sei anni con l’obiettivo di sostenere l’esame per l’ottavo anno al Conservatorio. Tutto è iniziato quando alla sua scuola, il Liceo classico Beccaria a Milano, sono venute a parlare alcune finaliste delle precedenti edizioni del Campiello. «Due insegnanti mi hanno spronato a partecipare», ricorda. «Ho scartato diverse trame e alla fine ho deciso di dedicarmi al racconto dal titolo Wanderer – come l’omonima fantasia per pianoforte di Schubert –, la cui trama si è sviluppata man mano che lo scrivevo».
È la storia di un “enfant prodige” del pianoforte che a 26 anni incontra una ragazza anch’essa musicista. Si innamorano e partecipano allo stesso concorso: è lei, che possiede una particolare grazia e perfezione, a vincere. Per la frustrazione il giovane chiude la relazione e decide di smettere per sempre di suonare. Passa una vita di solitudine e poi, una volta diventato vecchio, decide di riprendere a suonare e mette un annuncio per ricevere lezioni di pianoforte. Si presenta una donna, e dopo qualche lezione il vecchio la invita a suonare per lui lo stesso brano, Wanderer, del famoso concorso di gioventù. Tra le mani dell’insegnante compare un fazzoletto, con le iniziali ricamate di rosso. Un ricordo lontano che riaffiora, la voglia di tornare a vivere.
«Wanderer signica viandante», spiega Ludovica, «una figura dalla forte valenza simbolica. In esso si identifica il protagonista: come chi vaga non vede nient’altro che il suo stesso andare, così lui non ha nessun altro interesse che arrivare alla morte». Il racconto è edito in una collana di libri del Premio Campiello, e si può leggere su Repubblica on line.
«Secondo la giuria sono riuscita a far comprendere la psicologia dei personaggi attraverso le sfumature della musica. Non posso dire che la scrittura mi sia venuta in modo immediato. Per me è stato impegnativo. Ma poi che emozione sapere che tra i tantissimi concorrenti tra i 15 e i 22 anni sono stata scelta tra le cinque finaliste e poi, dopo tre giorni di cerimonia alla Fenice di Venezia, apprendere la mia vittoria. Ora che ho scoperto questo talento voglio continuare a scrivere, anche se per il mio futuro sono indecisa tra lo studio della filologia e quello della matematica. Oltre al pianoforte, naturalmente».
BEATRICE VENDRAMIN. «LA MIA VITA DIVISA TRA SET E STUDIO»
Abbiamo fatto un esperimento: siamo andati in alcune classi di quinta elementare e delle medie e abbiamo detto di aver incontrato e intervistato Beatrice Vendramin, una delle attrici della serie televisiva Alex & Co. In risposta si sono scatenate autentiche scene isteriche, gridolini impazziti, eccitazione diffusa, per qualche ragazzina anche le lacrime. È questo il clima di entusiasmo che si accende intorno a questa serie di successo (su Disney Channel e Rai Gulp), uno dei rarissimi esempi di prodotto italiano che viene esportato all’estero, nella fattispecie Spagna, Francia, Germania e Portogallo. Entusiasmo che si raddoppia se si parla della giovane attrice che interpreta Emma, Beatrice Vendramin. Lo testimoniano anche gli oltre 430 mila follower che la seguono su Instagram, dove ogni suo post riceve in media 25 mila “like”.
Beatrice, che ha 16 anni, è sotto i riettori da quando era molto piccola. Bionda, occhi chiari, viso angelico, ha posato come modella per la pubblicità, professione che svolge ancora oggi. Sono stati i suoi genitori ad avviarla a questa attività, genitori che le sono sempre molto vicini e che la sostengono in questa adolescenza impegnatissima, divisa tra il set e la scuola, liceo linguistico a Como. Privato però, perché per poter conciliare le riprese della serie con la frequenza scolastica ci vuole un po’ di elasticità.
Ora, oltre alla televisione, è arrivato anche il cinema con il film “Come diventare grandi nonostante i genitori”, nelle sale in questi giorni, una commedia briosa e intelligente scritta da Gennaro Nunziante sull’ingerenza dei genitori nella vita scolastica e non dei figli, e in cui Beatrice recita a fianco di Margherita Buy e Giovanna Mezzogiorno.
In Alex & Co, giunta alla terza stagione, oltre a recitare Beatrice canta e ha inciso anche un album. «Mi è sempre piaciuto, da piccola mi chiudevo in camera dopo cena a mettere il karaoke. Poi ho preso lezioni di canto, sono molto migliorata e suono anche il pianoforte. Però adoro recitare, per il gusto di dare vita un personaggio, che diventa tuo per sempre. Nessuna sarà mai come Emma». E per la tua vita che cosa immagini? «So benissimo che il successo nello spettacolo potrebbe non durare e per me resta prioritario impegnarmi nello studio. Ho aderito a un progetto di studio-lavoro a Londra, la città dove vorrei andare all’università, mi interesserebbe studiare business e marketing. Amo le lingue, viaggiare e sogno di poter lavorare un giorno a New York, magari in un film importante».
E a tutte queste ragazzine che ti seguono che cosa dici? «Tante sognano di entrare nel mondo dello spettacolo, e io dico loro che se ci credono veramente accadrà, che non devono ascoltare quelli che le scoraggiano. Io faccio il tifo per i loro sogni, perché alla loro età è bello sognare».



