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Mi si nota di più se vado a votare al referendum, se non ci vado, se ci vado e non ritiro la scheda? Le variabili dei comportamenti dichiarati dai politici in vista del referendum con cinque quesiti, 4 sul lavoro e uno sulla cittadinanza, dell’8-9 giugno, potrebbero anche suggerire che si faccia il verso a una battuta cinematografica fortunata e molto riciclata. In particolare sta facendo discutere l’affermazione della presidente del Consiglio che ha annunciato: “Andrò a votare ma non ritirerò le schede”. Dato che il tema è serio, abbiamo chiesto al professor Francesco Rigano, ordinario di Diritto costituzionale e Giustizia costituzionale e diritti fondamentali all’Università degli Studi di Pavia di aiutarci a capire.
Professor Rigano cominciamo da qui: il voto è un diritto, un dovere o tutte e due le cose?
«Nella Costituzione il voto è qualificato sia come diritto sia come dovere civico. Questa apparente contraddizione è stata interpretata dagli studiosi più autorevoli come facoltà lasciata al legislatore di decidere secondo i momenti storici se debba essere inteso come un dovere o come un diritto che, in quanto tale, può anche non essere esercitato. Fino al 1993 vigeva una norma che prevedeva che l’esercizio del voto fosse un obbligo al quale il cittadino non poteva sottrarsi senza venir meno a un dovere verso il Paese. C’era anche una precisa sanzione: la menzione sul certificato di buona condotta su cui si scriveva: “Non ha votato”. Oggi il certificato non esiste più e neppure quella disposizione: l’ha sostituita una legge del 1993 che si limita ad affermare che il voto è un diritto di tutti i cittadini. Ma è vero che il suo esercizio rappresenta anche un dovere civico in forza dell’articolo 48 della Costituzione».
In questo momento il tema è attuale per il referendum abrogativo. Che cos’è il quorum e perché può influire sulla scelta di votare o meno?
«Perché un referendum abrogativo (si chiede se togliere una legge ndr.) sia valido è necessario che vada a votare il 50%+1 degli aventi diritto, ossia dei cittadini con diritto di voto. È questo il caso dei 5 quesiti dell'8-9 giugno. Se il 50% +1 uno di chi ne ha diritto va a votare, vince il sì o il no, sulla base di chi ottiene più voti. Se invece la metà +1 non ci va, non si raggiunge il “quorum costitutivo”, ossia la maggioranza assoluta dei voti validi, e il procedimento referendario si ferma: lo scrutinio viene comunque fatto per ragioni di “suggestione politica”, ma senza effetti giuridici».


Sta facendo discutere l’affermazione della Presidente del Consiglio. Come leggerla alla luce della Costituzione?
«Dal punto di vista costituzionalistico direi che non è del tutto corretta, perché presentarsi fisicamente al seggio e non ritirare le schede significa non essere andati a votare. Questo è certamente legittimo, ma non del tutto trasparente. Dire: “Non vado a votare” sarebbe stato più chiaro. Non ritirare le schede, come non andare a votare, nel caso di referendum abrogativo è un modo di contribuire a far mancare il quorum, per esprimere il proprio dissenso alla consultazione stessa. È un diritto anche questo e può essere esercitato anche in modo selettivo: un elettore può decidere di votare ai quattro quesiti sul lavoro e di non farlo a quello sulla cittadinanza e viceversa o dire di no a una sola scheda».
Da parte di chi ricopre ruoli istituzionali non è cattivo esempio incoraggiare l’astensione?
«Trattandosi di referendum abrogativo il tema dell’astensione ha un significato diverso rispetto alle elezioni politiche o amministrative: qui è un modo di avvalorare il fatto che sul tema del referendum non c’era interesse e che quindi non sarebbe stato il caso di proporlo. Il cattivo esempio semmai è nella “furbizia”, nel rimedio malizioso di far vedere che si va al seggio, ma senza votare: un cittadino potrebbe non capire bene».
Non in tutti i referendum c’è il quorum, quando si tratta di approvare una riforma costituzionale non c’è. Lì vale un ragionamento diverso?
«In questo caso la logica dell’opportunismo cambia proprio verso. Quando una legge di revisione costituzionale viene approvata con doppia lettura in Parlamento con una maggioranza che sta tra la metà +1 e i 2/3, si può richiedere che vengano consultati i cittadini. Sarà molto probabilmente il caso della riforma nota come “separazione delle carriere di magistrati”. In questo caso si fa un referendum approvativo e si contano i voti validi, indipendentemente dal numero delle persone che vanno al seggio: vincono i sì o i no e non c’è quorum. In questo caso nell’arco dell’opportunista viene a mancare la freccia del “non voto”: se sono contrario alla riforma e non partecipo al referendum, non solo non faccio fallire la consultazione, ma rischio di contribuire al successo dei favorevoli».





