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«I punti deboli della riforma sono diversi e, se entriamo nel merito, rischiamo di peggiorare la Costituzione che abbiamo, non di migliorarla». Ugo De Siervo, giurista di fama, per nove anni presidente della Corte costituzionale, è schierato apertamente per il no al referendum. «La riforma si ripromette degli obiettivi che, nella realtà, non vengono realizzati, mentre ne vengono realizzati altri, a volte, persino confliggenti con le intenzioni».
Per esempio?
«Si vorrebbe un Senato rappresentativo delle autonomie locali. Ma la sua composizione, in concreto, non va in questa direzione perché, anche prescindendo dai cinque senatori di nomina presidenziale che non c’entrano nulla con la rappresentanza dei territori, gli altri 95 (74 consiglieri regionali e 21 sindaci) non rappresentano né gli enti locali, né le popolazioni dei territori. E questo perché non sono né i vertici delle Regioni o i sindaci dei maggiori Comuni, né, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, come per esempio gli Stati Uniti, rappresentano la popolazione. Alla fine è una Camera rappresentativa dei quadri intermedi dei partiti».
Il nuovo Senato non dovrebbe aiutare le Regioni?
«Si dice che debba aiutare le Regioni nella produzione legislativa ordinaria, ma questo non avviene perché non si attribuiscono al Senato le leggi che distribuiscono le competenze tra Stato e Regioni. Inoltre si depotenziano tutte le Regioni ordinarie – 15 su 20 – riducendole a rango di poco più di grosse Province amministrative mentre, paradossalmente, non si toccano le Regioni a statuto speciale che hanno sistemi di finanziamento e poteri vastissimi. Da tutto questo nasce un sistema irragionevole e imprevisto – che nessuno aveva proposto – di indebolimento delle Regioni ordinarie con accrescimento della burocrazia romana, da una parte e, dall’altra, si rafforzano le altre Regioni. Infine, si indebolisce il presidente della Repubblica che rischia di non essere eletto per molto tempo perché si è alzata troppo la maggioranza richiesta per eleggerlo».
I costi della politica diminuiranno?
«I costi della politica, qualcuno dice, li si poteva abbassare togliendo 200 parlamentari e 100 senatori senza farla tanto lunga o, secondo me, riducendo del 20 per cento l’indennità dei parlamentari. Non c’era bisogno di una riforma costituzionale. Questo è uno specchietto per le allodole, per dirla con linguaggio non tecnico. Invece, per esempio, non si toccano le Regioni speciali, ma le Regioni speciali sono tra i centri di spesa maggiori d’Italia, ben superiori a quello che si spende per Camera e Senato. È incredibile che si voglia diminuire la spesa per l’esercizio delle funzioni politiche, che comunque sono funzioni serie e importanti, in questo modo. Se si volesse incidere davvero su questo ci sono strumenti più facili di una riforma costituzionale».
Ma ci sarà maggiore semplificazione nella formazione delle leggi?
«Le leggi oggi vanno avanti lentamente perché le forze politiche non sono d’accordo. Quando sono state d’accordo ci sono stati casi di leggi passate in tre giorni tra Camera e Senato. Quando non si è d’accordo si può anche far intervenire un solo ramo del Parlamento, ma quel ramo si inventerà mille trappole procedimentali per perdere tempo».
Per esempio?
«Si vorrebbe un Senato rappresentativo delle autonomie locali. Ma la sua composizione, in concreto, non va in questa direzione perché, anche prescindendo dai cinque senatori di nomina presidenziale che non c’entrano nulla con la rappresentanza dei territori, gli altri 95 (74 consiglieri regionali e 21 sindaci) non rappresentano né gli enti locali, né le popolazioni dei territori. E questo perché non sono né i vertici delle Regioni o i sindaci dei maggiori Comuni, né, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, come per esempio gli Stati Uniti, rappresentano la popolazione. Alla fine è una Camera rappresentativa dei quadri intermedi dei partiti».
Il nuovo Senato non dovrebbe aiutare le Regioni?
«Si dice che debba aiutare le Regioni nella produzione legislativa ordinaria, ma questo non avviene perché non si attribuiscono al Senato le leggi che distribuiscono le competenze tra Stato e Regioni. Inoltre si depotenziano tutte le Regioni ordinarie – 15 su 20 – riducendole a rango di poco più di grosse Province amministrative mentre, paradossalmente, non si toccano le Regioni a statuto speciale che hanno sistemi di finanziamento e poteri vastissimi. Da tutto questo nasce un sistema irragionevole e imprevisto – che nessuno aveva proposto – di indebolimento delle Regioni ordinarie con accrescimento della burocrazia romana, da una parte e, dall’altra, si rafforzano le altre Regioni. Infine, si indebolisce il presidente della Repubblica che rischia di non essere eletto per molto tempo perché si è alzata troppo la maggioranza richiesta per eleggerlo».
I costi della politica diminuiranno?
«I costi della politica, qualcuno dice, li si poteva abbassare togliendo 200 parlamentari e 100 senatori senza farla tanto lunga o, secondo me, riducendo del 20 per cento l’indennità dei parlamentari. Non c’era bisogno di una riforma costituzionale. Questo è uno specchietto per le allodole, per dirla con linguaggio non tecnico. Invece, per esempio, non si toccano le Regioni speciali, ma le Regioni speciali sono tra i centri di spesa maggiori d’Italia, ben superiori a quello che si spende per Camera e Senato. È incredibile che si voglia diminuire la spesa per l’esercizio delle funzioni politiche, che comunque sono funzioni serie e importanti, in questo modo. Se si volesse incidere davvero su questo ci sono strumenti più facili di una riforma costituzionale».
Ma ci sarà maggiore semplificazione nella formazione delle leggi?
«Le leggi oggi vanno avanti lentamente perché le forze politiche non sono d’accordo. Quando sono state d’accordo ci sono stati casi di leggi passate in tre giorni tra Camera e Senato. Quando non si è d’accordo si può anche far intervenire un solo ramo del Parlamento, ma quel ramo si inventerà mille trappole procedimentali per perdere tempo».



