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SABINO CASSESE, I MOTIVI DEL SÌ.
Non ha dubbi Sabino Cassese e promuove senza incertezze la riforma della nostra Carta fondante sulla quale saremo chiamati a votare a dicembre. Il giudice emerito della Corte costituzionale è convinto che il cambiamento non tradisca la Repubblica e che anzi si iscriva pienamente «nella nostra tradizione repubblicana facendole fare un passo in avanti e consolidandola».
Professor Cassese, ci può spiegare quali sono i punti di forza di questa riforma?
«Principalmente due: una semplificazione della struttura e del processo legislativo e una migliore distribuzione dei compiti tra Stato e Regioni».
Come si ottengono questi risultati?
«Il primo si ottiene con quello che io chiamo “monocameralismo temperato”, nel senso che il Senato resta, ma con composizione e compiti ridotti».
E il secondo?
«Lo si raggiunge grazie allo “spacchettamento” e alla divisione tra Stato e Regioni della competenza legislativa ripartita. Ma vi sono anche altri aspetti importanti».
Per esempio?
«Citerei la soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e il ridimensionamento dei decreti legge, corsia per le proposte di legge del Governo».
Questa riforma servirà davvero anche a ridurre i costi della politica?
«Certamente, perché scompare il Cnel e il Senato è ridotto di due terzi. E perché se si fanno leggi in tempi più rapidi si potranno quindi fare economie. Basti pensare che, per esempio, oggi una legge agricola importante è in Parlamento in attesa di approvazione da due anni. Ma non è questo l’aspetto più rilevante».
E qual è?
«Penso che conti di più, innanzitutto, dare un segnale importante all’Unione europea. E il segnale è che riusciamo ad aggiornare la Costituzione dopo tentativi che durano da quasi 40 anni (basti pensare che la Commissione Bozzi è del 1983). Poi, che riusciamo a semplificare il meccanismo e i rapporti Parlamento-Governo, dando maggior forza al Parlamento monocamerale e tempi più brevi al processo legislativo. Infine, che contribuiamo a rendere meno transeunti i Governi».
Il fronte del no sostiene che con la riforma in realtà si complica il sistema. Lei è convinto del contrario?
«Ci sarà una maggiore semplificazione. Innanzitutto perché, come ho detto, l’approvazione delle leggi richiederà minori tempi. E poi scompaiono organismi inutili, come il Cnel, e si cancella la garanzia costituzionale delle Province. Basterebbe già soltanto questo».
Sulla riforma del bicameralismo perfetto che opinione ha?
«Questo è il punto principale: l’eliminazione del bicameralismo perfetto o paritario, che le migliori menti dell’Assemblea costituente non volevano introdurre. Tengo a ribadire un aspetto importante: la maggior parte di queste riforme non tradisce la Costituzione, tant’è vero che questa possibilità di modifica era stata considerata nel 1947, durante la sua approvazione. Nessun dramma, dunque. Solo un aggiornamento di un testo, la Costituzione, che ha settant’anni e che, nella seconda parte, come osservato unanimemente dagli stessi autori, era miope. Tutt’altro giudizio, ovviamente, va dato della prima parte, che, invece, vedeva lontano».
Non ha dubbi Sabino Cassese e promuove senza incertezze la riforma della nostra Carta fondante sulla quale saremo chiamati a votare a dicembre. Il giudice emerito della Corte costituzionale è convinto che il cambiamento non tradisca la Repubblica e che anzi si iscriva pienamente «nella nostra tradizione repubblicana facendole fare un passo in avanti e consolidandola».
Professor Cassese, ci può spiegare quali sono i punti di forza di questa riforma?
«Principalmente due: una semplificazione della struttura e del processo legislativo e una migliore distribuzione dei compiti tra Stato e Regioni».
Come si ottengono questi risultati?
«Il primo si ottiene con quello che io chiamo “monocameralismo temperato”, nel senso che il Senato resta, ma con composizione e compiti ridotti».
E il secondo?
«Lo si raggiunge grazie allo “spacchettamento” e alla divisione tra Stato e Regioni della competenza legislativa ripartita. Ma vi sono anche altri aspetti importanti».
Per esempio?
«Citerei la soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e il ridimensionamento dei decreti legge, corsia per le proposte di legge del Governo».
Questa riforma servirà davvero anche a ridurre i costi della politica?
«Certamente, perché scompare il Cnel e il Senato è ridotto di due terzi. E perché se si fanno leggi in tempi più rapidi si potranno quindi fare economie. Basti pensare che, per esempio, oggi una legge agricola importante è in Parlamento in attesa di approvazione da due anni. Ma non è questo l’aspetto più rilevante».
E qual è?
«Penso che conti di più, innanzitutto, dare un segnale importante all’Unione europea. E il segnale è che riusciamo ad aggiornare la Costituzione dopo tentativi che durano da quasi 40 anni (basti pensare che la Commissione Bozzi è del 1983). Poi, che riusciamo a semplificare il meccanismo e i rapporti Parlamento-Governo, dando maggior forza al Parlamento monocamerale e tempi più brevi al processo legislativo. Infine, che contribuiamo a rendere meno transeunti i Governi».
Il fronte del no sostiene che con la riforma in realtà si complica il sistema. Lei è convinto del contrario?
«Ci sarà una maggiore semplificazione. Innanzitutto perché, come ho detto, l’approvazione delle leggi richiederà minori tempi. E poi scompaiono organismi inutili, come il Cnel, e si cancella la garanzia costituzionale delle Province. Basterebbe già soltanto questo».
Sulla riforma del bicameralismo perfetto che opinione ha?
«Questo è il punto principale: l’eliminazione del bicameralismo perfetto o paritario, che le migliori menti dell’Assemblea costituente non volevano introdurre. Tengo a ribadire un aspetto importante: la maggior parte di queste riforme non tradisce la Costituzione, tant’è vero che questa possibilità di modifica era stata considerata nel 1947, durante la sua approvazione. Nessun dramma, dunque. Solo un aggiornamento di un testo, la Costituzione, che ha settant’anni e che, nella seconda parte, come osservato unanimemente dagli stessi autori, era miope. Tutt’altro giudizio, ovviamente, va dato della prima parte, che, invece, vedeva lontano».



