E’ stato recuperato  il barcone  con i corpi degli oltre settecento migranti affogati al largo della costa libica il 18 aprile del 2015 in seguito al capovolgimento dell’imbarcazione.  Il relitto è stato fatto riemergere  dai 375 metri di profondità, dopo un complesso intervento disposto dalla Marina Militare italiana.  Ad Augusta, ad accogliere le salme  è stato allestito un enorme obitorio  per le vittime di quella che è stata definita la più grande strage di migranti mai verificatasi in Mediterraneo. 

    Ci sono imbarcazioni e naufragi che hanno segnato simbolicamente momenti storici e che hanno metaforicamente raccontato “naufragi” epocali di ben altro genere. Lo  è stato nel  1912 il naufragio del Titanic, che oltre ad essere allora l’oggetto galleggiante più grande mai uscito da un cantiere navale, era  anche la nave-metafora della volontà di potenza dell’uomo sulla natura, colata miseramente a picco nelle fredde acque al largo di Terranova assieme ai suoi 1500 passeggeri.
  
   L’affondamento di quel vecchio peschereccio, strabordante di passeggeri, partito da Tripoli un anno fa e naufragato nel tentativo di abbordare un mercantile portoghese che voleva portare soccorso, ha segnato per sempre sul calendario della storia d’Europa un dies horribilis, una di quelle date che ricorderanno per sempre un’immane tragedia, ancor più straziante dell’ecatombe causata da quel naufragio:  quella enorme bara di ferro arrugginito non contiene “soltanto” i corpi di settecento naufraghi, tra cui  decine di bambini e oltre duecento donne, morti annegati come topi, peggio dei topi, ma riepiloga in se l’immane dramma dei migranti  in Mediterraneo, il “Mare Nostrum” diventato in quest’epoca il “Mare Monstrum”. Riassume in sé le tante tragedie dei viaggi della disperazione  che hanno inghiottito in 15 anni, secondo le stime di Oim e Save the Children, oltre ventimila migranti, 3200 nel solo 2015.

Settecento figli dell’Africa senza speranza, che cercavano un riscatto nella “terra promessa” d’Europa, affogati nelle nere onde del Mediterraneo. Settecento  “nuovi” europei, mai arrivati in porto.  In quel funesto 18 aprile di un anno fa  con quel barcone si inabissò l’anima dell’Europa tutta, quella solidale,  che i padri costituenti dell’Unione europea avevano immaginato, quella terra accogliente e prospera che apriva le porte a chiunque ne chiedesse asilo.  E’ colata a picco la dignità, l’immagine di un Continente che per secoli ha insegnato e praticato valori nobili e ha scritto i diritti fondamentali dell’uomo. 

   Oggi va data anzitutto degna sepoltura a questi figli perduti.  Ma sarebbe un’occasione sprecata se la riemersione  del peschereccio dagli abissi del Mediterraneo,  non diventasse metafora di un'altra emersione: quella di una rinnovata coscienza europea, capace di mettere da parte egoismi e  basse demagogie politiche, di scrollarsi di dosso la sindrome dell’invasione,  per pensare insieme a costruire nuovi approdi. Per non dover più riesumare  corpi  da cimiteri marini e fare la conta delle vite perdute.  L’ultimo aggiornamento è di oggi: dieci donne annegate nel Canale di Sicilia a 20 chilometri dalle coste libiche.