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Dire di sì o di no a un’Olimpiade è una faccenda seria: significa accogliere o rifiutare una vetrina senza pari per la propria città, significa decidere se sia o meno il caso di mettere sul piatto tanti soldi pubblici scommettendo sul fatto che ritornino in indotto, ma non è detto.
E allora è giusto che, comunque decida, se ne assuma la responsabilità chi è istituzionalmente chiamato a farlo. Toccava decidere al sindaco di Roma e il sindaco di Roma ha deciso: per il “no” a Roma 2024. Dato che si tratta comunque di valutare un ingente rischio economico nel merito il no ci può stare anche se si capisce bene la delusione di chi ha cullato il sogno olimpico sperando che fosse anche per Roma un’opportunità.
Quello che non ci può stare è lo stile: un sindaco che deve andare a spiegare a chi ha lavorato alla candidatura per anni le ragioni per cui dice no a un progetto votato dalla giunta che l’ha preceduto non può tirare quello che nel gergo dei comuni mortali si chiama “bidone”. Non può prendere un appuntamento con Giovanni Malagò, presidente del Comitato olimpico, principale interlocutore istituzionale in materia di candidatura olimpica, strizzandolo nell’agenda appresso a un altro appuntamento incombente, e poi “mancarlo” facendosi aspettare per oltre mezz’ora, per poi affidare il no a una conferenza stampa. Questione di rispetto anche per tutte le persone che per questa candidatura in questi anni hanno lavorato.
Quando si tratta di istituzioni la forma è sostanza: ti riconosco come mio interlocutore, rappresenti come me un’istitituzione, la penso diversamente da te e vengo a spiegarti le mie ragioni nel merito con la preparazione necessaria a replicare alle obiezioni, faccia a faccia, con il tempo necessario a dibattere se è il il caso. Dopodiché la decisione è presa, ma il modo conta, perché non è in gioco il galateo personale di Virginia Raggi privata cittadina ma il galateo istituzionale del Comune di Roma. Tanto più che con questo stile si rischia di dar credito a chi, pensando male, vorrà leggere nella decisione un fatto tutto politico: Roma 2024 sacrificata sull’altare del contenzioso interno al movimento Cinque stelle.
Anche chi, come noi, ha messo in evidenza il rischio economico delle Olimpiadi di Roma ancora prima che la giunta Marino dicesse di sì non può non riconoscere ottime ragioni all’amarezza che Riccardo Agabio, presidente della Federginnastica e già vicepresidente del Coni, ha affidato ieri sera a una nota: «Ricordo, quando ero Vice Presidente Vicario del Coni, il sofferto diniego dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti il quale però motivò personalmente al Presidente Petrucci le ragioni di quella rinuncia. E lo fece con lo stile e con il rispetto proprio dell’amministratore della cosa pubblica. Ecco non credo che un politico – nel senso etimologico di colui che si occupa della Polis, la città - avrebbe fatto fare ai suoi ospiti anticamera e di certo, prima di ogni altra cosa, si sarebbe complimentato con l’avv. Luca Pancalli per le medaglie vinte dai nostri atleti alle Paralimpiadi di Rio e poi avrebbe spiegato le proprie ragioni. Perché tra i valori dell’olimpismo c’è anche quel rispetto dell’avversario che dovrebbe essere il fondamento di ogni comunità civile».
E allora è giusto che, comunque decida, se ne assuma la responsabilità chi è istituzionalmente chiamato a farlo. Toccava decidere al sindaco di Roma e il sindaco di Roma ha deciso: per il “no” a Roma 2024. Dato che si tratta comunque di valutare un ingente rischio economico nel merito il no ci può stare anche se si capisce bene la delusione di chi ha cullato il sogno olimpico sperando che fosse anche per Roma un’opportunità.
Quello che non ci può stare è lo stile: un sindaco che deve andare a spiegare a chi ha lavorato alla candidatura per anni le ragioni per cui dice no a un progetto votato dalla giunta che l’ha preceduto non può tirare quello che nel gergo dei comuni mortali si chiama “bidone”. Non può prendere un appuntamento con Giovanni Malagò, presidente del Comitato olimpico, principale interlocutore istituzionale in materia di candidatura olimpica, strizzandolo nell’agenda appresso a un altro appuntamento incombente, e poi “mancarlo” facendosi aspettare per oltre mezz’ora, per poi affidare il no a una conferenza stampa. Questione di rispetto anche per tutte le persone che per questa candidatura in questi anni hanno lavorato.
Quando si tratta di istituzioni la forma è sostanza: ti riconosco come mio interlocutore, rappresenti come me un’istitituzione, la penso diversamente da te e vengo a spiegarti le mie ragioni nel merito con la preparazione necessaria a replicare alle obiezioni, faccia a faccia, con il tempo necessario a dibattere se è il il caso. Dopodiché la decisione è presa, ma il modo conta, perché non è in gioco il galateo personale di Virginia Raggi privata cittadina ma il galateo istituzionale del Comune di Roma. Tanto più che con questo stile si rischia di dar credito a chi, pensando male, vorrà leggere nella decisione un fatto tutto politico: Roma 2024 sacrificata sull’altare del contenzioso interno al movimento Cinque stelle.
Anche chi, come noi, ha messo in evidenza il rischio economico delle Olimpiadi di Roma ancora prima che la giunta Marino dicesse di sì non può non riconoscere ottime ragioni all’amarezza che Riccardo Agabio, presidente della Federginnastica e già vicepresidente del Coni, ha affidato ieri sera a una nota: «Ricordo, quando ero Vice Presidente Vicario del Coni, il sofferto diniego dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti il quale però motivò personalmente al Presidente Petrucci le ragioni di quella rinuncia. E lo fece con lo stile e con il rispetto proprio dell’amministratore della cosa pubblica. Ecco non credo che un politico – nel senso etimologico di colui che si occupa della Polis, la città - avrebbe fatto fare ai suoi ospiti anticamera e di certo, prima di ogni altra cosa, si sarebbe complimentato con l’avv. Luca Pancalli per le medaglie vinte dai nostri atleti alle Paralimpiadi di Rio e poi avrebbe spiegato le proprie ragioni. Perché tra i valori dell’olimpismo c’è anche quel rispetto dell’avversario che dovrebbe essere il fondamento di ogni comunità civile».



