La storia dei fratelli Collyer, che nel 1947 furono trovati cadaveri nel loro appartamento di New York, in mezzo al ciarpame che avevano accumulato nei lunghi anni di autoreclusione, attirò l’attenzione dell’opinione pubblica, al punto da essere considerata il simbolo inquietante di un Paese che, tutto rivolto all’esterno, non sa più guardarsi dentro. Edgar Lawrence Doctorow, uno dei grandi scrittori contemporanei, ispirandosi a questa vicenda, ma collocandola in anni successivi, ha scritto un romanzo, Homer and Langley (Mondadori), nei cui personaggi sembrano rivivere i celebri copisti di Flaubert, Bouvard e Pécuchet, i quali passano da un’esperienza all’altra senza approfondirne nessuna, gettando quindi un’ombra sullo sfrenato attivismo dell’uomo moderno.

Così Homer, il fratello cieco, racconta la progressiva follia di Langley, al ritorno dalla Prima guerra mondiale, quando comincia a raccogliere notizie e oggetti. La casa si trasforma in un magazzino di chincaglieria. Poche sono le persone che entrano in contatto coi due bizzarri proprietari, eppure attraverso questi incontri estemporanei scorrono le stagioni della storia: gangster, ragazze, vagabondi, poliziotti, hippy. Homer suona il piano, prima di diventare anche sordo. Langley esce di casa solo per evitare il pignoramento. Dal televisore compaiono le immagini dello sbarco sulla Luna. I monelli scagliano le pietre contro il portone. Alla fine c’è uno schianto che potrebbe essere quello delle Torri gemelle.

Doctorow sfoggia un talento virtuosistico nel tenere in piedi una storia senza trama. Chi conosce la sua opera sa che questo è solo l’ultimo tassello di una lunga serie romanzesca. Nella Città di Dio (2000) raccontò l’incredibile vicenda di una croce cristiana sparita dal campanile di una chiesa episcopale e ricomparsa sul tetto di una sinagoga, fra West End e Riverside Drive. In La marcia (2007) ha rievocato la caduta di Savannah, durante la guerra civile americana. Con Homer and Langley, abilmente camuffato dietro gli stracci dei suoi strampalati paladini, articola il paradigma inquietante dell’America contemporanea, sempre più lanciata verso il futuro, ma forse incapace di elaborare il passato.