Tutti gli anni ad agosto escono i risultati nazionali degli esami di maturità. E ci sarebbe da essere soddisfatti: siamo un Paese di geni. Il 99,7% degli ammessi alla prova di Stato risulta promosso. Gli ammessi sono comunque tantissimi, il 96,5%. E, immaginiamo, gli esclusi lo siano stati per ben ponderata inadeguatezza.

Si sa, le scuole sono aziende, il dirigente un amministratore delegato, i fondi diminuiscono se decrescono gli allievi e si boccia con oculatezza, non sempre per compassione e umanità. Quel che stupisce, come ogni anno, è la percentuale di eccellenze al Sud, dove fioccano i 100 e le lodi, soprattutto in Calabria, dove sono superdotati il 12% dei maturati.

Dati che però contrastano con quelli delle prove Invalsi, che continuano purtroppo a indicare una sostanziale differenza di competenze tra ragazzi del Centro-Nord e quelli del Sud Italia. Probabile esito di una differenza socioculturale. Ma un’eventuale ingiustizia va compensata con la condiscendenza, con un voto più alto?

E com’è possibile che la Lombardia, con le sue scuole di rilievo, non riesca ad avvicinarsi agli istituti calabri? Studenti così svogliati, intristiti dalle nebbie padane? O docenti troppo severi, dispettosi e incapaci di affascinare e trascinare gli allievi?

I dati non tengono conto delle persone e quindi le statistiche non sono mai assolute. Però indicano una tendenza: il lassismo e una erronea indulgenza sono uno scarico di responsabilità sul mondo dell’università e del lavoro. Se il famoso titolo di studio vale sempre meno, come si faranno strada i giovani nel mondo della ricerca, dove la competizione è alta?

Non è un valore la competizione, affatto. Ma fingere che uno vale uno, anche nel mondo della scuola, è irrealistico. Chi è più bravo sarà più libero, più sicuro. Chi meno bravo, ma egualmente premiato, patirà disagio e delusione, abbandonando gli studi e faticando a trovare lavoro.

E poi, come risaltano tutti questi dati a tre cifre quando è notorio che gli italiani sono scarsissimi nelle materie scientifiche? Non vengono considerate nella supposta raggiunta maturità?

Forse i pochi studenti che quest’anno hanno disertato l’orale sono presuntuosi, ideologici. O forse no. Forse hanno protestato perché la scuola che dà i voti a sorte, che guarda gli interessi degli istituti più che dei ragazzi, non serve. Sappiamo che il voto dell’esame di maturità conta poco. Abbondano test per verificare competenze e carattere appena si esce dal sistema scolastico.

Allora aboliamo l’esame di Stato. Sì, va bene, è la prima vera prova della vita, le prove servono, rendono più forti, eccetera. Ma se è un lancio di dadi che dipende dalla furbizia o addirittura dalla collocazione geografica, meglio rinunciare e affidare ad altre prove la valutazione di maturità.

Quanti attacchi di panico in meno. Quante feste devastanti dei 100 giorni in meno, e basta viaggi a Mykonos a sballarsi, basta Notti prima degli esami cantate a squarciagola. Un sospiro di sollievo per i professori, sballottati qua e là a giudicare ragazzi che non conoscono, sotto l’occhio torvo dei colleghi. Per cento euro in più, una vergogna.


In collaborazione con Credere
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