Ma quella moschea è un’opera d’arte o un luogo di culto? O entrambe le cose?  Metti insieme l’abile provocazione di un artista anticonformista e antisistema, come Christoph Büchel,  e un palcoscenico come quello di Venezia che trasforma ogni fiato di voce in boato squassante, aggiungi un tema “caldo” come l’assenza di una moschea in un contesto cittadino dove  vive una nutrita comunità musulmana, e il caso scoppia, inevitabilmente. Come sperava tanto Büchel, l’artista svizzero che ha allestito per il padiglione islandese della Biennale, una moschea all’interno della vecchia chiesa veneziana di Santa Maria della Misericordia, chiusa al culto.  

Ma ricostruiamo la vicenda. Tutto nasce dalla installazione “the Mosque”, ideata dall’artista transalpino: una moschea  perfettamente allestita in Venezia, con tanto di Mihrab rivolto verso la Mecca, tappeto e versetti coranici alle pareti, allo scopo di destare l’attenzione  della città e del mondo sul fatto che il centro lagunare, ponte millenario tra Oriente e Occidente, frequentato e abitato da molti musulmani, non abbia un solo edificio aperto al culto islamico.

   I curatori decidono d’affittare per i sette mesi della Biennale Santa Maria della Misericordia, una chiesetta  nel Centro Storico, chiusa al culto dal 1969 e che la congregazione dei Servi di Maria nel 1973  aveva venduto a privati. Ma, precisa la Curia veneziana, sebbene chiusa al culto, mai formalmente sconsacrata. 

     Una scelta del genere (una chiesa, ancora non sconsacrata, da trasformare in moschea)  non poteva, ovviamente, che generare polemiche e proteste.  Tant’è che la Curia nel febbraio scorso aveva evitato di concedere altri edifici di culto richiesti per la stessa installazione artistica.  Ai primi di maggio, infatti,  immediatamente dopo l’apertura del singolare padiglione,  i fedeli musulmani hanno iniziato a frequentare l’ex-chiesa per la preghiera, utilizzando il luogo  come una moschea in tutto e per tutto.  A questo punto si pone la questione:  si tratta ancora di una installazione artistica o  è un  vero e proprio luogo di culto?

Intanto  è scaduto l’ultimatum del Comune: entro il 20 maggio i curatori  del padiglione islandese dovevano dimostrare, documenti alla mano, la riduzione  a uso profano dell’edificio. Quanto ha concesso finora il Comune  prevede solo l’uso della chiesa come spazio espositivo, quindi con l’obbligo di apertura al pubblico senza  la minima possibilità  di imporre norme  liturgiche sull’abbigliamento o altri obblighi rituali. Sarà quindi sospesa l'attività del padiglione,  anche se non in via definitiva.

    La stessa Comunità islamica di Venezia, che ha la propria aula di culto a Marghera, pur non potendo impedire ai fedeli di pregare al suo interno, ed elogiando l’iniziativa islandese,  ha precisato in un comunicato che non considera  l’istallazione una vera moschea e chiede agli aderenti di evitare pratiche religiose nel padiglione, per “ evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni, che invece di favorire il dialogo interreligioso, lo inquinano”.

    “Perché in una chiesa? Non mancano a Venezia spazi architettonici in disuso che non avrebbero suscitato la suscettibilità di alcuni e avrebbero aperto ad un maggiore desiderio  di integrazione”, osserva la chiesa veneziana intervenendo con una nota del delegato patriarcale per i beni culturali ecclesiastici, don Gianmatteo Caputo, che evidenzia subito il rischio di commistione di due piani ben diversi: la richiesta di uno spazio per esporre un’opera d’arte e la richiesta, ben diversa, di aprire una moschea a Venezia. “La realizzazione finale – spiega il delegato -  appare come una grande forzatura ed una sostanziale strumentalizzazione di tutti i soggetti coinvolti, compresa in primo luogo la comunità musulmana”. E conclude: “La richiesta di una moschea  in città è questione importante che va affrontata  con metodi e modi ben diversi  e più fondati. Nel rispetto autentico di tutti”.

    In sintesi dice la Chiesa veneziana: l’operazione è una forzatura. Rilanciamo, invece, la richiesta di uno spazio per la preghiera nelle sedi giuste e coinvolgendo  tutti i soggetti in città che hanno voce in capitolo sulla questione.

        Una cosa è certa: non spetta certo alla Biennale d’arte inaugurare una moschea. Né ce n’è mai stata l’intenzione. La provocazione artistica ha già sortito il suo effetto, eccome, sfruttando ancora una volta l’immagine della città, la sua fama ma anche la sua debolezza.
      Una volta fatta chiarezza e sopite le polemiche, sarebbe auspicabile che nelle sedi opportune si pensasse seriamente all’opportunità di aprire una moschea in una città da sempre aperta al mondo e alle sue fedi. Ma certo non dentro un recuperato, provvisorio padiglione della Biennale.