In attesa che le autorità giudiziari di New York appurino se l’attuale direttore generale del Fondo Monetario Internazionale sia o no un violentatore, qualche considerazione politica ed economica sulla scena mondiale si può già fare.
Primo: Dominique Strauss-Khan esce definitivamente dalla scena, non solo come capo dell’organizzazione monetaria, ma anche come principale candidato dell’opposizione a Sarkozy nella corsa all’Eliseo. Secondo: il Fondo Monetario Internazionale, questa gigantesca istituzione finanziaria nata con i celeberrimi accordi di Bretton Woods (cui partecipò, con una certa influenza, anche John Maynard Keynes, divenendone a posteriori il protagonista assoluto) ne risentirà inevitabilmente sul piano dell’immagine, anche se per fatti che nulla hanno a che vedere con la sua politica finanziaria.
Bretton Woods, la conferenza che ripristinava il “gold standard” e fissava cambi fissi agganciati al dollaro a sua volta agganciato all’oro, doveva evitare per sempre crisi devastanti come quella del ’29. In particolare il Fondo Monetario doveva occuparsi di economia monetara e la Banca Mondiale di ricostruzione e sviluppo. In realtà oggi l’Fmi si occupa più di concedere prestiti agli Stati membri in caso di squilibrio nella bilancia dei pagamenti (la differenza tra import ed export) e di gravi dissesto finanziario.
Come funziona? In modo apparentemente semplice. Il Fondo è un’organizzazione di 186 Paesi che dal Dopoguerra (1946) concede i mega-prestiti in cambio di un piano di aggiustamento strutturale (che di solito comporta lacrime e sangue, a cominciare dai dipendenti pubblici, con un taglio delle spese correnti, una svalutazione della moneta, una revisione dei bilanci). E qui arrivano le critiche. I piani sono basati su una convinzione liberista, molto americana, che sarà il mercato a garantire i prestiti e favorire i rientri.
Tra i principali prestiti concessi quello al Brasile nel 1998 (42 miliardi di dollari) e al’Argentina (22 miliardi). Il Fondo ha contribuito anche al finanziamento del governo greco dopo l’esplosione della crisi, in accordo con l’Unione europea e la Banca centrale europea. Ma il Fondo è ampiamente criticato non soltanto per aver attribuito ai mercati virtù quasi taumaturgiche.
I movimenti non global e importanti Nobel (come Joseph Stiglitz) lo accusano di essere sostanzialmente al servizio di potentati economici americani, di effettuare le politiche finanziarie in maniera poco trasparente e di peggiorare le condizioni dei Paesi del Sud del Mondo, facendo sostanzialmente gli interessi dell’Occidente ricco e industrializzato (il sistema di voto privilegia il Nord del mondo). A giudicare dalla ripresa del Brasile negli ultimi anni queste critiche non sono per nulla dimostrate.
Primo: Dominique Strauss-Khan esce definitivamente dalla scena, non solo come capo dell’organizzazione monetaria, ma anche come principale candidato dell’opposizione a Sarkozy nella corsa all’Eliseo. Secondo: il Fondo Monetario Internazionale, questa gigantesca istituzione finanziaria nata con i celeberrimi accordi di Bretton Woods (cui partecipò, con una certa influenza, anche John Maynard Keynes, divenendone a posteriori il protagonista assoluto) ne risentirà inevitabilmente sul piano dell’immagine, anche se per fatti che nulla hanno a che vedere con la sua politica finanziaria.
Bretton Woods, la conferenza che ripristinava il “gold standard” e fissava cambi fissi agganciati al dollaro a sua volta agganciato all’oro, doveva evitare per sempre crisi devastanti come quella del ’29. In particolare il Fondo Monetario doveva occuparsi di economia monetara e la Banca Mondiale di ricostruzione e sviluppo. In realtà oggi l’Fmi si occupa più di concedere prestiti agli Stati membri in caso di squilibrio nella bilancia dei pagamenti (la differenza tra import ed export) e di gravi dissesto finanziario.
Come funziona? In modo apparentemente semplice. Il Fondo è un’organizzazione di 186 Paesi che dal Dopoguerra (1946) concede i mega-prestiti in cambio di un piano di aggiustamento strutturale (che di solito comporta lacrime e sangue, a cominciare dai dipendenti pubblici, con un taglio delle spese correnti, una svalutazione della moneta, una revisione dei bilanci). E qui arrivano le critiche. I piani sono basati su una convinzione liberista, molto americana, che sarà il mercato a garantire i prestiti e favorire i rientri.
Tra i principali prestiti concessi quello al Brasile nel 1998 (42 miliardi di dollari) e al’Argentina (22 miliardi). Il Fondo ha contribuito anche al finanziamento del governo greco dopo l’esplosione della crisi, in accordo con l’Unione europea e la Banca centrale europea. Ma il Fondo è ampiamente criticato non soltanto per aver attribuito ai mercati virtù quasi taumaturgiche.
I movimenti non global e importanti Nobel (come Joseph Stiglitz) lo accusano di essere sostanzialmente al servizio di potentati economici americani, di effettuare le politiche finanziarie in maniera poco trasparente e di peggiorare le condizioni dei Paesi del Sud del Mondo, facendo sostanzialmente gli interessi dell’Occidente ricco e industrializzato (il sistema di voto privilegia il Nord del mondo). A giudicare dalla ripresa del Brasile negli ultimi anni queste critiche non sono per nulla dimostrate.


