Dopo tra anni dall'introduzione dei giudizi descrittivi (in via di acquisizione, base, intermedio, avanzato) alla scuola primaria tornano i voti da "ottimo" a "insufficiente". Pubblichiamo la lettera arrivata in redazione del maestro Davide Tamagnini.

Gentile Ministro Valditara,
proviamo a fare chiarezza, come lei chiede ripetutamente*.
Tutti “vogliamo semplicemente che ci sia una valutazione più chiara”, ma anche più efficace.
Il problema è come realizzarla? Dalle sue parole si capisce che la semplificazione dei giudizi determinerebbe un miglioramento in trasparenza. “Quanto ho preso io? Ottimo, distinto, buono, sufficiente, insufficiente. Così il genitore e lo stesso bambino sanno qual è in quel momento lo stato delle sue acquisizioni.” Se sarà “buono” cosa sapranno le famiglie delle acquisizioni dei loro figli? Sarà chiara la posizione in classifica, ma senza “distinto” e “sufficiente”, “buono” non dice proprio nulla. Meglio fare un esempio. “Le cito un esempio di giudizio analitico: «Obiettivo: Elementi di grammatica esplicita. Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo ed espansivo. Livello: In via di prima acquisizione”. Il suo intento era quello di far capire l’incomunicabilità di questo modo di esprimersi, ma ha fatto un esempio sbagliato. Invece di citare un obiettivo di apprendimento, di quelli presenti sul documento di valutazione, ha citato due “nuclei tematici” delle Indicazioni nazionali, sui quali nessuno ha mai espresso un giudizio, men che meno mettendoli insieme. Questa è forse la sua proposta? Perché sono gli obiettivi di apprendimento ciò che noi insegnanti dobbiamo provare ad osservare e non i nuclei (i titoli sotto i quali sono raggruppati più obiettivi). Inoltre, tra le tre possibilità di pagelle proposte dalle Linee guida dell’OM 172 ha portato alla nostra attenzione il modello A1, ben sapendo che l’unico realmente descrittivo, chiaro per gli studenti e le famiglie, è il modello A3, a cui tutte le scuole avrebbero dovuto arrivare in breve tempo. Nella sua proposta di cambiare i livelli con i giudizi sintetici le va bene il modello A1? “Queste valutazioni sono poco comprensibili per molti genitori e per gli stessi alunni” e su questo siamo d’accordo con lei, ma, a parte il fatto che queste valutazioni non sono mai state fatte, perché spiegare le proprie motivazioni con esempi sbagliati?


Vediamo un esempio possibile e mettiamolo a confronto con la sua proposta, cercando di capire quale delle due risulterà più chiara:

Penso che anche se mettessimo l’obiettivo di apprendimento nella sua proposta ciò che meglio descrive “le acquisizioni” di uno studente sia il giudizio descrittivo. Almeno questo è quanto ci dicono centinaia di famiglie con cui ci siamo confrontati in questi anni. È sicuro che tutte le famiglie non capiscano la valutazione?

Il livello che abbiamo espresso in questi anni è il risultato di un modo di osservare che discende da una proposta didattica capace di mettere insieme le quattro dimensioni previste dalle Linee guida dell’OM 172. Per osservare il raggiungimento di un obiettivo di apprendimento da parte di uno studente, l’insegnante deve predisporre delle situazioni note o non, in cui sia possibile verificare l’apprendimento in termini di autonomia, continuità, nonché capire a quale tipologia di risorse gli studenti hanno attinto. Non si tratta di fare una verifica e mettere un giudizio, si tratta di capire come aiutare le persone a migliorarsi, non a diventare le migliori della classe. Solo una valutazione realmente formativa è in grado di guardare al duplice percorso che sostiene i risultati: quello di apprendimento dello studente e quello di insegnamento del docente, perché entrambi devono potersi interrogare su quello che hanno fatto. Se togliamo questa mappa di osservazione, si tornerà a dare rilevanza solo al risultato, appiattendolo sulle conoscenze. Ma le competenze che le Indicazioni nazionali ci chiedono di raggiungere come verranno valutate? Per lavorare su di esse sappiamo che dobbiamo creare delle situazioni non note in cui gli studenti possano esprimere le loro abilita e conoscenze, anche metacognitive. Per rendere la valutazione più chiara, allora, dobbiamo cambiare il nostro modo di insegnare e questo percorso richiede un tempo lungo. Si ha forse paura di rendere l’insegnamento migliore?

La chiarezza di cui sopra porta con sé il tema del lessico: bisogna farsi intendere dalle famiglie e dagli studenti. Ma sulle pagine di autorevoli quotidiani nazionali ormai si moltiplicano le voci di chi continua a confondere il voto con la valutazione. Per raggiungere la chiarezza auspicata non serve cambiare il lessico dei livelli con i giudizi sintetici, si dovrebbero tenere distinte le forme di valutazione in itinere da quelle periodiche e finali. Non ridurre le parole, per di più con un lessico che ricorda un giudizio morale sulla persona (“buono”), ma cambiare la forma delle parole perché durante il percorso si possa osservare il processo di apprendimento dello studente e aiutarlo ad autoregolarlo.

Sta a noi insegnanti trovare le forme per mediare la comunicazione con i bambini e le famiglie, per renderla più efficace. In altre parole, è nostro compito fare in modo che la valutazione diventi un feedback, un’occasione di apprendimento. Visto che l’hanno male informata sugli obiettivi che noi insegnanti mettiamo in pagella, mi viene anche il dubbio rispetto alla sua affermazione sulla chiarezza: “La richiedono innanzitutto i bambini”. Con quali studenti ha parlato? Perché i nostri sanno intendere e apprezzare il nostro impegno per aiutarli grazie alla valutazione. Noi a scuola facciamo così: tutte le discipline sono declinate in pagella con più obiettivi e ognuno di essi è raccontato con un giudizio descrittivo; lo spazio del giudizio finale, dove si parla anche del comportamento (ma non in termini di voto), lo usiamo per dare spazio all’autovalutazione dei bambini e alle nostre considerazioni. Per fare diventare la valutazione un feedback per l’apprendimento chiediamo ai bambini di provare a riflettere su quanto compare in fondo alla pagella. Le riporto alcuni “dialoghi scritti” avvenuti con i miei studenti di classe terza per riflettere sulla valutazione.



Cause indirette del disastro che vorrebbe sistemare: “Eccesso di ‘ovatta’ in cui pretendiamo di crescere oggi i nostri figli”, “(non è forse) il modello educativo che ‘ovatta’ e rifiuta la valutazione ad essere corresponsabile di tanta fragilità?”
L’ovatta protegge, non elimina. È qualcosa che aiuta ad attutire i colpi, a non farsi male. La classificazione degli studenti, il non essere valutati per il percorso che si è fatto, ma costantemente misurati in rapporto ai propri compagni fa male a tutti, sia a chi “va bene”, sia a chi è “indietro”, come direbbe qualcuno. Nessuno chiede di non valutare, ma di farlo più seriamente. Nessuno di coloro che propone una scuola senza voto, propone una scuola senza valutazione. Forse tutta questa ovatta ha finito per infilarsi nelle orecchie e nel cervello di molti impedendo l’ascolto e la comprensione di questa diversa opinione? Però non è solo più un’opinione, è un’esperienza, anzi, più esperienze. È storia, sta nella biografia di molti studenti e della scuola.

Rispetto alla retorica del “noi siamo cresciuti lo stesso anche se c’erano i voti” lasciamola alle chiacchiere da bar. Anche lei ha parlato dei voti con cui è stato cresciuto (“da 0 a 10”), ma le ricordo che i voti in decimi partono da 1. Potrei chiederle dove siano finiti i suoi compagni che prendevano 1? La palestra motivazionale ha funzionato? Dove sono finiti quelli con tutti i 10? Comunque, non la punisco per questo secondo errore, gli errori sono semplicemente epifanie di un modo di pensare, vanno evidenziati perché sono occasioni per apprendere. Non si vuole tenere nessuno nella bambagia così spero che questa mia lunga risposta possa aiutarla a diventare un Ministro migliore, perché, come sa, la valutazione serve a questo e la scuola ne avrebbe tanto bisogno.

Davide Tamagnini, un maestro di scuola primaria