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Si chiama “maternità surrogata” oppure “gestazione d’appoggio”. O anche, più prosaicamente, “utero in affitto”. È la pratica che induce una coppia a depositare i propri embrioni, fecondati in provetta, nel corpo di una donna estranea la quale, in cambio di denaro nei casi più comuni, di rado anche gratuitamente, come può succedere se è una parente stretta, accetta di portare a termine la gravidanza per poi consegnare il neonato ai committenti.
Contro questa pratica del figlio su ordinazione, il 2 febbraio scorso si è espressa l’Assemblea nazionale di Parigi che ha approvato il documento Stop alla maternità surrogata. È un primo passo, poi il documento passerà per il voto al Parlamento dell’Unione europea.
La maternità surrogata è legale in India, Georgia, Russia, Tailandia e in alcuni Stati americani. E anche nel Regno Unito e in Canada, ma con qualche limitazione; per esempio, la madre surrogata non può ricevere somme di denaro più alte delle “spese ragionevoli” connesse alla gravidanza. In Italia è vietata, pur con alcune deroghe, dalla Legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita, che sanziona le cliniche e i medici che la praticano sul nostro territorio, ma non dice niente sulle coppie che ricorrono alla madre in affitto all’estero. Una volta ottenuto il bambino, le coppie presentano il certicato di nascita al consolato italiano del posto e chiedono che esso sia inviato per la trascrizione al loro Comune di residenza. La novità è che adesso queste norme sono in discussione in Parlamento, con proposte di modiche e aggiornamenti.
Negli anni, si sono verificati casi dolorosi, soprattutto negli Stati Uniti, dove alcune madri surrogate, una volta dato alla luce il bambino, hanno preteso di tenerselo, e si capisce: tra la madre e il figlio portato per nove mesi, si è stabilito un legame biologico così forte da non poter essere spezzato alla nascita.
Perché deve essere chiaro una volta per tutte: le donne non sono macchine da riproduzione e i bambini non sono merce su ordinazione.
Contro questa pratica del figlio su ordinazione, il 2 febbraio scorso si è espressa l’Assemblea nazionale di Parigi che ha approvato il documento Stop alla maternità surrogata. È un primo passo, poi il documento passerà per il voto al Parlamento dell’Unione europea.
La maternità surrogata è legale in India, Georgia, Russia, Tailandia e in alcuni Stati americani. E anche nel Regno Unito e in Canada, ma con qualche limitazione; per esempio, la madre surrogata non può ricevere somme di denaro più alte delle “spese ragionevoli” connesse alla gravidanza. In Italia è vietata, pur con alcune deroghe, dalla Legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita, che sanziona le cliniche e i medici che la praticano sul nostro territorio, ma non dice niente sulle coppie che ricorrono alla madre in affitto all’estero. Una volta ottenuto il bambino, le coppie presentano il certicato di nascita al consolato italiano del posto e chiedono che esso sia inviato per la trascrizione al loro Comune di residenza. La novità è che adesso queste norme sono in discussione in Parlamento, con proposte di modiche e aggiornamenti.
Negli anni, si sono verificati casi dolorosi, soprattutto negli Stati Uniti, dove alcune madri surrogate, una volta dato alla luce il bambino, hanno preteso di tenerselo, e si capisce: tra la madre e il figlio portato per nove mesi, si è stabilito un legame biologico così forte da non poter essere spezzato alla nascita.
Perché deve essere chiaro una volta per tutte: le donne non sono macchine da riproduzione e i bambini non sono merce su ordinazione.



