Pontida ha i suoi riti. Ogni anno, tra ampolle del Po e richiami medievali, la Lega rispolvera Alberto da Giussano, l’eroe che eroe non fu. È il paladino che avrebbe guidato i comuni lombardi contro Federico Barbarossa. Unico dettaglio: non è mai esistito. Una creazione tardiva, un mito costruito secoli dopo da cronisti con più fantasia che fonti. Nessun documento, nessun reperto, nessuna cronaca coeva lo cita. Eppure, nel pantheon leghista, Alberto è vivo e vegeto, brandito come simbolo e stampato sul logo del partito. Così come l'iconografia contenuta anche nel simbolo della Lega, si rifà al Monumento del Guerriero di Legnano, impropriamente associato - pure questo - ad Alberto da Giussano.

Quest’anno, a Pontida, il vicesegretario Roberto Vannacci ha deciso di portarlo addirittura sui banchi di scuola. «Il giuramento di Pontida del 1167, insieme ad Alberto da Giussano, va insegnato ai ragazzi», ha detto. «Perché mai dovremmo preferire Greta Thunberg che non ha combinato nulla»?- Ma preferire a chi, a un guerriero immaginario, una sorta di Aragorn (de Il signore degli anelli) in salsa padana?

C’è qualcosa di tenero, quasi comico, nell’idea di proporre agli studenti italiani un personaggio di carta, come se fosse un eroe nazionale. È un po’ come inserire nel manuale di storia le arringhe di Gandalf o le cronache di Westeros. E però qui non siamo in un romanzo fantasy, ma in un Paese che ha faticosamente costruito la propria identità su Manzoni e sul Risorgimento, su De Gasperi e su Dossetti.



Che cosa resta allora del giuramento di Pontida? Un episodio che gli storici discutono, gonfiato dalla retorica ottocentesca e poi trasformato in mito identitario dalla Lega. Una cerimonia mai documentata come la si racconta oggi, ma capace di infiammare l’immaginazione: i comuni lombardi che si stringono in un patto sacro per difendere libertà e autonomie. L’epica funziona sempre, specie quando serve a dare un fondamento solenne a un partito nato sulle rotonde di Varese e cresciuto nelle campagne elettorali a colpi di slogan contro Roma ladrona.

Ma è davvero questo che va insegnato ai nostri ragazzi? La storia come un romanzo, l’epica come didattica? Davvero serve un Alberto da Giussano che non è mai nato, mai combattuto, mai giurato? Sarebbe più onesto dire: «Ragazzi, oggi parliamo di come i popoli inventano i loro miti, di come la politica usa gli eroi inesistenti per darsi una faccia e un blasone». Sarebbe una lezione interessante, educativa.



Invece no. A Pontida, Vannacci invoca un "catechismo padano" fatto di giuramenti immaginari e di cavalieri fantasma, per contrapporlo a figure reali ma scomode, come Greta Thunberg. Meglio la spada inventata che la protesta concreta, meglio la leggenda che disturba poco che la scienza che obbliga a cambiare.

Il problema è che il ridicolo, quando diventa pedagogia, smette di far sorridere. Non c’è nulla di male ad avere miti fondativi. Roma ha Romolo e Remo, la Francia Giovanna d’Arco. Ma Alberto da Giussano non è nemmeno questo: è un nome appiccicato in fretta su un bisogno di radici. Come se ci si vergognasse di dire che il vero eroe della Lega è Bossi con l’ampolla del Po, o Maroni con la felpa.

Sarebbe bello che nelle scuole si parlasse davvero di storia: del Medioevo con le sue luci e ombre, delle autonomie comunali, delle battaglie reali combattute da uomini veri. Sarebbe bello ricordare ai ragazzi che l’identità non nasce dai loghi di partito ma dalle lotte, dalla cultura, dalle opere concrete. Altrimenti rischiamo di educare una generazione convinta che Alberto da Giussano sia esistito davvero, come un cavaliere sbucato dalle pagine di Tolkien o dai sette regni di Martin. E che Pontida sia stata la Hogwarts della Padania.

Non si costruisce memoria sulle favole, e nemmeno sull’ironia. Ma certo, se proprio dobbiamo scegliere, meglio leggere Frodo e Jon Snow che ascoltare la filastrocca di un cavaliere mai nato. Almeno lì la fantasia è dichiarata. Qui, invece, si spaccia un fantasma per storia. E i ragazzi, che hanno antenne sottili, se ne accorgono subito: a scuola, a Pontida, e anche davanti al televisore. Perché c’è sempre un limite oltre il quale il mito diventa caricatura. E a Pontida, ancora una volta, quel limite è stato ampiamente superato.