Una spada si conficca nel cuore dello spettatore ogni volta che dal telefono si ode la reiterata supplica, flebile, impaurita, di Hind Rajab, 5 anni, palestinese residente nella Striscia di Gaza. È l’implorazione che la piccola affida al soccorritore della Mezzaluna Rossa che dalla centrale operativa cerca di mantenere un contatto con lei.
La bimba è chiusa in un’auto ferma in una stazione di servizio di Gaza, nascosta sotto i sedili,
Intorno gli spari. La vettura è crivellata dai 365 colpi di mitragliatore che hanno ucciso i 5 parenti che viaggiavano con lei, unica superstite. Tutto è immobile: Hind, i familiari, l’auto, i carri armati attorno, l’azione di soccorso.
Mandare un’ambulanza per salvarla (basterebbero 8 minuti per raggiungere la bimba) senza che sia autorizzata dall’esercito (israeliano, ma mai nominato) equivarrebbe a un’azione suicida, per quanto necessaria. Ma questa cautela si rivelerà comunque inutile e tragica, quando il piano potrà essere messo in atto, come testimoniano le immagini (reali, non fiction) inserite alla fine dell’opera.
E per quasi tutto il tempo del film quella spada: «Vieni a prendermi. È quasi buio, ho paura».
La voce di Hind, presenza reale in una traccia audio, visibile ma senza volto; nella mente, nel cuore e nelle viscere dello spettatore inchiodato davanti allo schermo, assume drammaticamente i tratti e il corpo della propria figlia, della propria nipote, genera l’immedesimazione nell’ ”io” che è stato bambino come ora lei.
In quelle poche ore di contatto audio sentiamo crescere Hind che dall’ingenuità infantile («intorno a me in auto vedo gli zii e i cugini che dormono») velocemente passerà ad affermare che «vi ho detto che sono morti, li hanno uccisi, non stanno dormendo» segno di una innocenza perduta a causa del male visto e subito.
La voce di Hind che accompagna tutta la visione non è solo appello personale di salvezza, ma provocazione per quegli adulti e per tutti noi a fare qualcosa per i civili palestinesi e per coloro che soffrono e muoiono nelle guerre.
Presentato alla 82ª Mostra internazionale di arte cinematografica  di Venezia il 3 settembre 2025, l’opera è stata accolta da 24 minuti di applausi, record al Lido. Critici, attori, registi, spettatori, giornalisti: tutti parlano con la stessa commozione di questo lavoro di Kaouther Ben Hania, già presente a Venezia alla Mostra nel 2020, con “L’uomo che vendette la sua pelle”, in cinquina Oscar e premiata a Cannes nel 2024 come miglior documentario con “Quattro figlie”.
La vicenda è nota a prescindere dal film, quegli audio sono da tempo disponibili in rete ma per la regista realizzare questo film è stato un dovere: «Le news giornalistiche spesso ci passano davanti e poi ce ne dimentichiamo. Io volevo che rimanesse memoria di Hind Rajab, che si provassero i gusti sentimenti per questa bambina e che emergesse tutta la rabbia e l’impotenza. Era importante che emergesse, attraverso la voce di Hind Rajab, la voce palestinese e di Gaza. Voglio dare giustizia a queste persone, sperando che prima o poi la vera giustizia arrivi».
A sostenere e produrre il film tanti protagonisti di Hollywood: Jonathan Glazer, Rooney Mara, Brad Pitt, Joaquin Phoenix.
La regista tunisina grida così al mondo la tragica storia di Hind. I fatti sono reali, accaduti il 29 gennaio 2024, così come è reale la voce della bimba, perennemente scolpita negli audio registrati dalla Mezzaluna Rossa e definitivamente consegnati, grazie anche a quest’opera, alle responsabilità di chi vuole quella guerra e alle coscienze degli spettatori. Intorno a quella voce la ricostruzione cinematografica, o meglio una drammatizzazione che alcuni attori portano in scena per figurare il personale della centrale operativa di soccorso, collegati al telefono con Hind, le ambulanze, l’autorità palestinese.
Tra compassione, rabbia, senso di impotenza e commozione collettiva, con ruoli e accenti differenti tutti rimangono uniti e attivi, pur nella tensione, nella volontà di salvare la bimba, metafora del bisogno di salvare la Palestina tutta.
L’emozione che si prova nella visione non è mai ricatto o trucco, nonostante l’opera sia militante, narrata da un preciso e unilaterale  punto di vista.
The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, è difficilmente classificabile in un genere preciso: forse una drammatizzazione di un documento di cronaca? Di certo non propriamente cinema del reale, perché di cinema ce n’è davvero poco. Forse ha più il passo di un lavoro per la tv, ma è una riflessione importante questa?
Il lungometraggio è un urlo indignato contro l’orrore della guerra e la violenza sugli innocenti, ha il coraggio della denuncia violenta come è violento a volte l’uomo e ha il pregio enorme di sollevare la domanda: «Cosa posso fare io adesso per la pace?».