Questo vocabolo indica anche il nome della divinità suprema dei Cananei. Israele fu spesso tentato da questo culto, legato alla fertilità, abbandonando il Dio dei propri padri
Il domenicano Roland de Vaux (1903-1971) è stato uno dei maggiori archeologi dell’antico territorio dell’Israele biblico e uno dei maggiori studiosi delle istituzioni anticotestamentarie, alle quali ha dedicato un ampio saggio, tradotto anche in italiano. In quel testo, a proposito del vocabolo ba‘al che ora presenteremo (84 volte nell’Antico Testamento), scriveva: «Il marito era definito ba‘al della moglie, cioè suo padrone, come è ba‘al di una casa o di un campo. La donna sposata è “possesso” del ba‘al ed è per questo che “sposarsi” per l’uomo si esprime col verbo che ha la stessa radice, è un divenire padrone e signore della donna» (l’apostrofo inverso presente nel nome indica una lettera aspirata di ardua pronuncia per noi occidentali).
È evidente la qualità maschilista e patriarcale della società di allora, e il termine ba‘al coi suoi significati paralleli di «signore, padrone, marito, sposo» ne è una testimonianza esplicita. Certo, l’uso della simbologia nuziale applicata a Israele, come sposa del Signore, attenua questa durezza, come si ha in un passo di Isaia: «Tuo sposo (ba‘al) è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra» (54,5).
Ma per 58 volte nell’Antico Testamento il termine Ba‘al diventa il nome della divinità suprema del pantheon dei Cananei, la popolazione indigena dell’area siro-palestinese. Egli era rappresentato sotto l’immagine di un toro/vitello, simbolo di fecondità: la pioggia che rendeva fertili e fruttifere le campagne era vista come il suo seme generatore (si ricordi il racconto di Esodo 32 che ha al centro l’adorazione di un vitello d’oro). Israele fu spesso tentato da questo culto così realistico della fertilità che, tra l’altro, comprendeva il rapporto sessuale con le sacerdotesse e i sacerdoti di quella religione, definiti nella Bibbia «prostituti/e» o «cani», animali considerati impuri. Si legge, ad esempio, nel libro dei Giudici: «Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono Ba‘al, abbandonando il Signore, Dio dei loro padri… Si prostrarono davanti a loro, provocarono il Signore, l’abbandonarono e servirono Ba‘al e le Astarti», cioè le divinità femminili che accompagnavano il dio principe degli dèi, Ba‘al (2,11-13). Il gioco di significati sotteso a questo nome è ben espresso da Isaia: «Signore, nostro Dio, altri padroni (ba‘al) diversi da te ci hanno dominato, ma noi te soltanto, il tuo nome invocheremo» (26,13).
A proposito di questa allusività è da citare un passo del profeta Osea (VIII sec. a.C.) il quale, partendo dalla sua infelice esperienza coniugale, segnata dal tradimento della moglie che egli, però, continua ad amare, sogna di poterla di nuovo riabbracciare pentita e ritornata a lui. Questa vicenda egli la fa diventare una parabola dell’infedeltà idolatrica di Israele e del desiderio del Signore di rinnovare il legame nuziale col suo popolo. Ecco, allora, il gioco di parole adottato da Osea: «In quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai Sposo mio (’ish) e non mi chiamerai più mio ba‘al (padrone). Le toglierò dalla bocca i nomi dei ba‘al» (2,18-19).
In filigrana all’esperienza dell’amore umano vissuta dal profeta si legge la storia dell’infedeltà e della sperata conversione di Israele all’unico Dio abbandonando il culto del dio Ba‘al. A margine notiamo che nella Bibbia appare un altro gioco di parole spregiativo: Ba‘al Zebûl, cioè «Ba‘al il principe», titolo del dio cananeo, viene storpiato in Ba‘al Zebûb, cioè «Ba‘al delle mosche» (2Re 1,2-3.6.16). Nel Vangelo esso diventa un nome demoniaco, Beelzebul, che è oggetto di una polemica tra Gesù e i farisei (si legga Matteo 12,22-30).