Questo termine esprime la convergenza che c’è, nella Bibbia, tra il dire e il fare. Vale in particolare per Dio: quello che dice realizza, le sue labbra sono anche la sua mano
Siamo soliti ripetere che «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare». Il proverbio non vale, invece, per la Bibbia, e il vocabolo che ora presentiamo ne è la prova. Infatti, dabar (si pronuncia anche davar) esprime contemporaneamente la parola e il fatto, oltre a un corteo di signicati collaterali, come «cosa, oggetto, evento, comandamento, rivelazione ». Proprio per questo la statistica dell’uso è impressionante: il sostantivo dabar ritorna nell’Antico Testamento 1.440 volte, mentre il verbo relativo 1.125 volte. Strettamente parlando, il verbo più specifico per indicare il «dire», il «parlare» è ’amar e risuona 5.282 volte, divenendo il verbo biblico più frequente. Questo, però, non deve far credere che la civiltà ebraica antica si manifesti come una cultura solo della voce, perché – come si diceva per dabar – la parola detta è considerata ef- cace e non può essere ritirata o cancellata perché crea, genera, produce effetti. Si ricordi, ad esempio, il caso clamoroso del vecchio Isacco che, dopo aver benedetto il figlio Giacobbe, in pratica assegnandogli l’eredità della primogenitura a cui non aveva diritto, non può più correggere il suo detto/atto in favore del vero destinatario, Esaù (Genesi 27).
Non per nulla la Bibbia inizia proprio con una parola creatrice pronunciata da Dio: «In principio… Dio disse (’amar): Sia la luce! E la luce fu» (Genesi 1,3). Curiosa è, nell’originale, una frase della Genesi: «Dopo tali fatti (dabar), fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola (dabar)» (15,1). Il re Salomone dichiara solennemente: «Il Signore ha attuato la parola (dabar) che aveva detto (dabar): sono succeduto infatti a Davide, mio padre, e siedo sul trono d’Israele» (1Re 8,20). Dio dice e realizza, le sue labbra sono anche la sua mano, la sua promessa è già un compimento.
Stupendo è, al riguardo, l’oracolo divino presente nel libro del profeta Isaia: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola (dabar) uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza avere operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (55,10-11).
Se è vero che la parola divina è feconda come la pioggia, è naturale che essa si sia effusa soprattutto nel deserto del Sinai. Come è noto, è scesa dal monte ed è stata destinata al popolo stanco e affaticato che stava nella valle sottostante, attraverso la mediazione di Mosè. Infatti il Signore aveva ordinato a Mosè: «Scrivi queste parole (dabar), perché sulla base di queste parole (dabar) io ho stabilito un’alleanza con te e con Israele» (Esodo 34,27). È noto, infatti, che i comandamenti del Signore sono stati denominati «il Decalogo», ossia in greco «le dieci parole».
Concludiamo gettando uno sguardo sul futuro messianico. Nel Vangelo di Giovanni Cristo verrà definito «la Parola, il Verbo» per eccellenza. Egli ha in sé tutta la potenza divina, ma è anche realtà umana, è Parola in parole. «In principio era il Verbo (in greco Lógos) e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… Tutto è stato fatto per mezzo di lui… In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (si legga Giovanni 1,1-14).