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mercoledì 14 maggio 2025
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

DIDÁSKALOS: maestro

In uno degli affreschi del Convento di San Marco a Firenze, eseguiti attorno agli anni 1438-46, il Beato Angelico raffigurava Gesù assiso, come in cattedra, su un picco roccioso con l’indice levato nell’atto di ammonire-insegnare, circondato dai discepoli, mentre stava pronunciando il Discorso della montagna. Chi ci segue con continuità ricorderà che la scorsa settimana abbiamo fatto salire sulla ribalta proprio gli apostoli e discepoli. Questa volta poniamo al centro, come ha fatto quel celebre pittore, la figura del Maestro, in greco didáskalos, un termine che è entrato anche nel nostro linguaggio comune (ad esempio, «didascalico»).
La parola risuona 59 volte nel Nuovo Testamento, ed è prevalentemente attribuita a Gesù. Questo sostantivo deriva da un verbo, didáskô, «insegnare», che ricorre 97 volte e che genera vari vocaboli con lo stesso valore, come ad esempio didachê, «insegnamento» (30 volte), che ritroviamo nel nostro termine «didattica». Siamo, quindi, nell’orizzonte dell’ammaestramento, dell’istruzione, della dottrina, ed è per questo che Gesù è per eccellenza definito il didáskalos, il Maestro.
A prima vista, il suo profilo sembra essere quello del rabbì, il «maestro» giudaico accompagnato dal corteo dei discepoli. Esemplare, a questo proposito, è la scena che si svolge nella sinagoga del suo villaggio, Nazaret, quando legge e commenta un passo di Isaia (Luca 4,16-19). Non per nulla l’evangelista incornicia l’episodio con questa frase: «Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode» (4,15). Anche nella sua didattica Gesù si rivela in continuità col mondo culturale giudaico, ricorrendo ai simboli (le parabole), ai detti sapienziali (i cosiddetti lghia), alle citazioni bibliche, all’esperienza concreta esistenziale.
Uno dei massimi esponenti del giudaismo, Nicodemo, membro del Sinedrio, non esitava a interpellarlo così: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro (didáskalos)» (Giovanni 3,2). Tuttavia, proprio per questa origine così alta, nei Vangeli si segnala anche la singolarità dell’insegnamento di Gesù rispetto ai maestri del giudaismo di allora. Infatti, Marco, dopo il primo intervento nella sinagoga dell’altra città meta fondamentale nel periodo iniziale della missione di Cristo, cioè Cafarnao, segnala questa reazione da parte dell’uditorio: «Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità» (Marco 1,27).
Analoga e più esplicita è la reazione della gente che aveva ascoltato il Discorso della montagna: «Le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi» (Matteo 7,28-29). C’è, dunque, un’originalità nella figura del Cristo didáskalos anche perché in quel Discorso per ben sei volte aveva osato reinterpretare in modo radicale e autoritativo le stesse Scritture: «Avete inteso che fu detto agli antichi… Ma io vi dico…» (Matteo 5,21-48). Successivamente tra le ideali quattro colonne che reggono la Chiesa di Gerusalemme, si incontrerà anche la didachê  apostolica, cioè l’insegnamento catechetico: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (Atti 2,42). 
Purtroppo nella comunità cristiana s’infiltra anche lo pseudodidáskalos, «il falso maestro» (2Pietro 2,1), oppure si vanno a cercare «maestri secondo i propri capricci» (2Timoteo 4,3). È per questo che già Cristo ammoniva: «Voi non fatevi chiamare rabbì, poiché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Matteo 23,8). San Paolo in questa linea affermava che i cristiani di Corinto avevano, sì, maestri ma non padri amorosi: «Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (1Corinzi 4,15)


30 giugno 2022

 
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