Il Precursore
Il Precursore, Giovanni Battista, torna per l’ultima volta nelle domeniche del tempo di Avvento, nell’originalissima presentazione che ne fa il quarto evangelista, Giovanni, con un quadro che non si trova nella tradizione sinottica di Matteo, Marco e Luca.
Nel quarto Vangelo, infatti, Giovanni assume alcune caratteristiche rispetto agli altri tre: per esempio, non è mai chiamato “Battista” (cioè, alla lettera, “il battezzatore”); altre due connotazioni si colgono dalla pagina odierna. Giovanni appare già nel Prologo, descritto come un «uomo mandato da Dio» e un «testimone» (Giovanni 1,6-7) riconoscendo Gesù come l’«agnello di Dio» (1,29.36). Qualunque cosa implichi questa espressione (probabilmente un riferimento al sacrificio pasquale ebraico), la situazione è molto diversa rispetto alla domanda che il Battista fa rivolgere da alcuni discepoli a Gesù, e che esprime un dubbio circa la sua identità: «Sei tu colui che deve venire?».
Secondariamente, nel quarto Vangelo Giovanni non si pone in modo concorrenziale a Gesù. Non solo non tiene stretti a sé i suoi discepoli, e li rimanda alla sequela dell’agnello (1,35-37), ma nemmeno si preoccupa del fatto che Gesù stesso stia battezzando. La pagina di oggi sembra alludere a una discussione a tal riguardo, e ci lascia intendere che Giovanni non si sente sminuito se Gesù stava facendo qualcosa che definiva e caratterizzava “il battezzatore”. Giovanni non ha paura di perdere il suo posto o il suo ruolo, e infatti si colloca in modo del tutto speciale nella relazione con il Signore.
Nel quarto Vangelo, infatti, in occasione della sua ultima apparizione nel racconto, Giovanni si autodefinisce l’«amico dello sposo» (3,25-30). Si tratta dell’ultima caratterizzazione del Battista, che segue quelle in cui viene descritto come il «testimone» della luce (1,7), o la «voce» che grida nel deserto (1,25). L’amico dello sposo era il paraninfo, o, in ebraico, lo shoshbin, l’incaricato a preparare le nozze, che si occupava della scorta per prelevare la sposa insieme ad altri compagni (cfr. in parte Matteo 25,1-13) e doveva anche accertarsi dell’avvenuta consumazione delle nozze, allorquando era invitato dallo sposo a gioire («l’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo») per il signum virginitatis che poteva mostrargli. Una volta raggiunta la pienezza della gioia, Giovanni si appresta ora a «diminuire» (3,29), riconoscendo di non essere lui lo sposo, ma “solo” il suo amico.
Senza che il quarto Vangelo racconti mai il suo martirio, Giovanni scompare dalla scena, non viene nemmeno più citato da Gesù.
Quanto dobbiamo imparare da Giovanni. Non soltanto perché ci insegna a stare al posto a cui siamo chiamati, ma soprattutto perché il suo modo di essere mostra come annunciare il Vangelo. Lo spiega anche Paolo, nella pagina della Seconda lettera ai Corinzi, quando scrive che «noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore». Troppe volte, invece, anche nella Chiesa, più che parlare di Cristo, parliamo solo di noi.