La domenica che oggi viviamo è chiamata domenica “della divina clemenza” e si focalizza sullo sguardo colmo di bontà e misericordia che Dio ha nei confronti di ciascuno di noi. Il brano di Vangelo proposto è quello dell’adultera, colmo di dettagli che ci permettono di rivivere la scena come fosse una sequenza cinematografica, con tanto di cambio di inquadrature e di ritmo narrativo.
Il passo è ambientato presso il tempio, nel quale Gesù stava insegnando alla folla; possiamo immaginarci la calma di questi istanti, con le persone intente ad ascoltare le parole del Signore. Questa calma viene rotta dagli scribi e i farisei che mettono in mezzo al gruppo di persone una donna colta in flagrante adulterio. I toni usati per rivolgersi a Gesù e chiedergli il suo parere non rispettano minimamente la donna. L’adultera sembra aver perso la sua identità, il suo nome, viene semplicemente identificata col suo peccato. Qui si cela la prima tentazione da combattere: nessuno è mai solo e soltanto il suo peccato, fosse anche la colpa più grave, Dio non dimentica mai chi siamo lasciandosi accecare dai nostri atti; alla stessa maniera anche noi dobbiamo avere il suo sguardo nei confronti dei fratelli.
Gesù di fronte alle accuse urlate contro la donna compie un gesto apparentemente senza senso: si china e scrive per terra con il dito. Ecco che improvvisamente il ritmo del racconto rallenta, i toni sbraitati lasciano spazio al silenzio e lo sguardo non è più puntato contro la donna, piuttosto viene volto verso gli accusatori. «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei», così il Signore risponde agli accusatori, li invita a smettere di guardare le fragilità altrui e a riconoscere le proprie.
Dopo aver detto queste parole, torna a scrivere per terra, non resta a fissarli per scoprire i loro volti segnati dalla vergogna della propria debolezza. Il Signore non è interessato alla nostra debolezza, piuttosto è interessato a permetterci di avere sincera consapevolezza di chi siamo e ciò che facciamo, a metterci nelle condizioni favorevoli per ripartire, per tornare a essere liberi, liberi dal peccato. Quando abbiamo la forza di guardare con sincerità a noi stessi, ecco che non c’è più necessità di ribadire le cadute altrui, di urlare contro il fratello il suo peccato. Perché tutto questo si realizzi, dobbiamo avere la forza di rallentare, di fermarci a pensare, cosa tutt’altro che scontata nel tempo che stiamo vivendo: fatto di giudizi sputati contro i fratelli attraverso i tasti freddi di una tastiera; fatto di un correre continuo che non ci permette di fermarci per riflettere sulla nostra persona; fatto di mille messaggi seducenti che non permettono di vivere mai il silenzio necessario per ascoltare l’unica Parola di vita e verità.
Al termine del passo del Vangelo, non è il Signore che dice alla donna «Nessuno ti ha condannata», ma la conduce a dirlo da sola: «Nessuno mi ha condannato!». Questo è il senso della domenica della clemenza divina: educarci all’amore e alla misericordia, perché per primi siamo amati e perdonati.