Dopo la guarigione del servo di un centurione straniero (il Vangelo di domenica scorsa), del quale Gesù ammira la grande fede, nella pagina proclamata in questa domenica il Signore si imbatte in una situazione simile: l’unico a essere salvato per la sua fede è un non ebreo, un Samaritano.
Lungi dall’essere un giudizio sul giudaismo del suo tempo, o sull’Israele prescelto e amato da Dio, il vangelo di Luca vuole puntare sull’universalità della salvezza e sulla fede che si può trovare anche in chi meno ci aspettiamo. L’episodio è riportato esclusivamente dall’evangelista Luca, il quale ha sin dall’inizio del suo libro un’attenzione speciale verso i pagani, attenzione che emergerà anche nei confronti di coloro che gli ebrei consideravano alla stessa stregua, i Samaritani. Basterà ricordare che anche se Gesù, appena iniziato il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme, viene respinto da un villaggio di Samaritani (Luca 9,51-56), è uno di essi che diventerà l’esempio del “farsi prossimo” (10,25-37).
I dieci lebbrosi devono aver raggiunto Gesù prima che egli entrasse in un villaggio, perché ad essi era proibito dalla Legge avvicinarsi alle persone (Levitico 13,45): infatti, annota Luca, «si fermarono a distanza». Il lebbroso samaritano, insieme agli altri, grida però parole di preghiera. Dopo la guarigione, è l’unico che torna indietro e si getta ai suoi piedi. Paradossalmente chi era il più lontano dalla salvezza ora può avvicinarsi al Signore Gesù. Ogni distanza è stata colmata.
Due verbi hanno a che fare con lo stato fisico e spirituale del lebbroso samaritano, «purificare» e «guarire», ma poi all’ultimo versetto del brano compare la parola-chiave, il verbo più forte di tutti, «salvare»: «La tua fede ti ha salvato». Luca qui è molto attento a non confondere i termini, e anche noi dobbiamo rispettare tali sfumature di significato: dieci sono stati purificati e guariti, ma uno solo è salvato. Perché? Esiste una differenza tra il riconoscersi guarito e il non accorgersene: l’evangelista insiste su questo, scrivendo che il lebbroso samaritano, «vedendosi guarito», tornò indietro a ringraziare. È l’unico che ha compreso il senso di quanto gli era accaduto.
Riconoscere il significato delle cose, capirne la trama, ringraziare per la salute o accettare la malattia: sono opere di fede. Per fede il lebbroso sanato “vede la realtà” in modo diverso da prima. Non solo la esperisce dal fatto di non avere più le piaghe (ma di questo se ne saranno accorti anche gli altri nove): la comprende. Come gli altri sa di essere stato purificato, ma trova il modo per riflettere su quanto accaduto. Nel nostro mondo così veloce, invece, siamo continuamente messi in scacco dalla realtà, che non riusciamo più a comprendere, perché cambia in continuazione, e questo ci provoca ansia e smarrimento. E non ci fermiamo più pensare a quanto ci accade. Rendere gloria a Dio: questo ha salvato il lebbroso, che ha solo detto grazie, e l’ha detto a Dio tramite Gesù. È lui il “canale” per avvicinarsi a Dio: il lebbroso pensava di dire grazie a un «maestro» (Luca 17,13), ma lui è il Mediatore.