L'incontro tra Gesù e una donna della Samaria è uno degli episodi più suggestivi dei Vangeli. Recentemente qualche studioso ne ha ribadito la plausibilità storica, sulla base di alcuni intriganti dettagli come il riferimento a un messia che i Samaritani attendevano (il Taheb) o quello – imbarazzante (e quindi indice di storicità) – della stanchezza di Gesù, che per tale ragione chiede da bere a una donna.
Ma è altrettanto plausibile che il dialogo al pozzo di Giacobbe sia stato rielaborato dall’evangelista per finalità teologiche, e con scopi precisi. Quello su cui ci soffermiamo riguarda il compimento della missione ai Samaritani, che Gesù non poté portare a termine nella sua vita terrena. Un indizio a riguardo si trova nel vangelo di Luca, l’unico a riferire che appena iniziato il pellegrinaggio verso la città in cui avrebbe trovato la morte, Gesù inviò davanti a sé alcuni discepoli che «si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme» (Luca 9,52-53). Questo ostacolo, se impedirà per qualche tempo l’annuncio del Vangelo ai Samaritani, non sarà però insuperabile: ancora Luca, negli Atti degli Apostoli, racconterà come uno dei “Sette”, Filippo, «sceso in una città della Samaria, predicava loro il Cristo» (Atti 8,4). Quello che Gesù non ha potuto portare a compimento, è la Chiesa a portarlo avanti a nome suo.
L’evangelista Giovanni, quindi, nel racconto dell’incontro tra Gesù e la Samaritana, anticipa e retroproietta quello che storicamente avrà luogo solo dopo la morte e risurrezione del Signore, e a opera dei suoi discepoli. La donna Samaritana compie già, parlando alla sua gente del suo incontro con Gesù («Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?»; 4,29), quanto accadrà solo più avanti.
Ecco perché al versetto 4 («Gesù doveva attraversare la Samaria») Giovanni utilizza un verbo in greco (“dei”), che non esprime tanto una necessità geografica: sebbene la strada principale dalla Giudea alla Galilea passasse attraverso la Samaria, Gesù avrebbe potuto andare a nord attraverso la valle del Giordano, risalendo in Galilea attraverso il passo di Beit She’an, evitando la Samaria. Invece, Gesù aveva proprio quella necessità, che corrispondeva alla volontà di salvezza anche per il popolo dei Samaritani, l’ultimo escluso dalla missione del Signore.
La donna samaritana rappresenta tutto il suo popolo, finalmente riunito alle altre tribù di Israele. Rappresenta però anche ciascuno di noi. Grazie alla potente simbologia che caratterizza le pagine giovannee, nel desiderio di questa donna di bere finalmente dell’acqua che disseta per sempre c’è il nostro anelito per qualcosa che plachi la nostra sete. Nell’invito fatto a lei a adorare il Padre «in Spirito e verità» (4,23), Gesù dice anche a noi di cercare Dio non tanto in un luogo (al tempio di Gerusalemme o sul monte che sta di fronte all’attuale Nablus, il Garizim), ma di cercarlo attraverso di Lui, il Cristo è che la via, la verità e la vita.