Le letture di questa domenica, nella quale la Chiesa ambrosiana ricorda la Dedicazione della sua cattedrale, il Duomo di Milano, sono tutte fortemente evocative e centrate su efficaci immagini. Nel capitolo sessantesimo del libro del profeta Isaia il Signore si rivolge a Sion, invitata a rialzarsi e a godere della luce del Signore. A partire dal versetto col quale inizia la lettura, si descrive la città di Gerusalemme, con le sue porte e le sue mura. Queste, infatti, sono ricostruite dagli stessi nemici che hanno mosso guerra alla città santa, perché Dio non è più adirato col suo popolo, e ha perdonato il peccato di Israele. Le porte di Sion sono descritte come sempre “aperte”, proprio per non impedire il flusso delle nazioni che portano le loro ricchezze nella città.
L’immagine prefigura e anticipa quella di un’altra città con le porte aperte, la Gerusalemme che scende dal cielo, descritta dal veggente Giovanni nel libro dell’Apocalisse: «Le nazioni cammineranno alla sua luce, e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, perché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni» (Apocalisse 21,24-26).
Questa immagine serve anche a ricordarci che le porte delle nostre chiese – anzitutto la cattedrale di una diocesi – dovrebbero essere sempre spalancate, per mostrare che Gesù stesso è la “porta” attraverso la quale si può entrare per cercare salvezza: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Giovanni 10,9).
Nell’antica omelia attribuita a Pietro si legge di un altro edificio, costruito non tanto con mattoni, ma piuttosto dai cuori delle persone, la Chiesa di Dio. Questo edificio, dice Pietro, trova il suo fondamento su una pietra speciale, una pietra angolare che è più importante e robusta delle altre, la pietra scartata che è Cristo stesso. Ci colpisce che Pietro, chiamato da Gesù stesso la “roccia” della Chiesa edificata dal Signore, sappia bene che non è lui il punto d’appoggio su cui costruire quell’edificio: è, invece, il Signore.
Il Vangelo è tratto da uno dei discorsi di Gesù riportati da Luca, quello “della pianura”, nel quale si legge che coloro che ascoltano le parole del Signore sono come un costruttore di una casa con le fondamenta sulla roccia, che resiste anche alle piene di un fiume.
Forse chi ha scelto le letture avrebbe potuto conservare anche il versetto seguente, il v. 49, col monito di Gesù: «Chi invece ascolta [le mie parole] e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande». Ma il messaggio è comunque chiaro: la casa di Dio – la Chiesa, la comunità ecclesiale – non è costruita su un terreno instabile o franoso, perché è edificata dallo stesso Signore. Tutte queste immagini contribuiscono a farci cogliere il senso della nostra appartenenza alla Chiesa: non è una casa come un’altra, è la comunità dei credenti in Gesù Cristo Signore, il Risorto.