Per proclamare la risurrezione del Signore Gesù Cristo, il cui annuncio è risuonato nella Veglia pasquale, il lezionario del giorno di Pasqua ci offre tre letture tratte dal Nuovo Testamento, tre diverse testimonianze di tre differenti tradizioni delle origini cristiane.
Iniziamo da quella più antica, e cioè la voce di Paolo. Nella sua Prima lettera alla comunità di Corinto – composta intorno agli anni 53-54 d.C. – l’Apostolo ci restituisce uno dei più importanti simboli di fede dei cristiani, che egli afferma di aver ricevuto da altri: Cristo, morto per liberarci dai peccati, è stato sepolto e il terzo giorno è «stato risuscitato» (così Franco Manzi; si veda invece la traduzione Cei: «è risorto»). Questi eventi di morte e di vita, chiarisce Paolo, sono accaduti «secondo le Scritture», adempiendo cioè le promesse fatte da Dio a Israele e all’umanità mediante i profeti e gli altri protagonisti della storia di questo popolo.
Anche nella pagina dagli Atti degli Apostoli si ritrova la fede della Chiesa primitiva, allorquando Luca scrive che Gesù, dopo la sua morte, si mostrò vivo agli apostoli, per un tempo di per quaranta giorni.
Il vangelo di Giovanni, probabilmente l’ultimo a essere stato composto, racconta dell’incontro tra il Risorto e colei che è definita l’“Apostola degli apostoli”, Maria di Magdala, che per prima porterà l’annuncio che Gesù non è più nel sepolcro, ed è vivo. Ci soffermiamo ora sul modo in cui il Risorto si rivolge a Maria, dicendole: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro…».
Uno dei più antichi codici contenenti il testo dei Vangeli, risalente al IV secolo (il codice Sinaitico), omette il pronome «miei», col risultato che Gesù avrebbe detto: «Va’ dai fratelli e di’ loro…». Sembra esserci, qui, un certo imbarazzo a riguardo del fatto che Gesù abbia davvero chiamato suoi fratelli i discepoli. Ma il testo trasmesso dalla maggioranza dei codici, che leggiamo anche noi oggi, esprime invece il perdono dato dal Risorto ai discepoli, cioè a coloro che l’hanno vergognosamente abbandonato poche ore prima.
È la storia, narrata nel libro della Genesi, di Giuseppe, venduto per gelosia dai fratelli e deportato in Egitto. Quando questi, a causa di una carestia, devono recarsi anch’essi in Egitto, dove Giuseppe nel frattempo aveva fatto carriera alla corte del faraone, non vengono riconosciuti, ed è Giuseppe stesso che dirà loro: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita» (Genesi 45,5-6).
Nelle parole di Gesù dette a Maria c’è la garanzia che egli ha perdonato tutti, e che chiunque crede in Lui può confidare nell’amore di un fratello che ama incondizionatamente. Anche se il Risorto porta su di sé i segni della Passione e del male che gli è stato fatto, il suo perdono libera gli uomini dal peso dai loro peccati. Esattamente come Paolo, nella lettera ai cristiani di Corinto, affermava: «Cristo morì per i nostri peccati».