Della Incarnazione o della Divina Maternità di Maria - Solennità
Nell’ultima domenica di Avvento viene proclamato il racconto dell’annunciazione, nel quale i protagonisti sono un angelo e una donna. Anche se si è appena concluso, lo scorso 8 dicembre, l’“anno speciale di san Giuseppe” voluto da papa Francesco, gioverà ricordare che Matteo ci trasmette anche altre annunciazioni, quelle allo sposo di Maria, Giuseppe, che in sogno viene istruito e guidato da un angelo, e non una volta sola, ma addirittura quattro! Quello dell’istruzione è lo stesso compito affidato a Gabriele, «mandato» (in greco apostéllo, “inviare”) da Dio. Il filosofo Massimo Cacciari, in un prezioso libro intitolato L’angelo necessario, osserva: «Il luogo dell’angelo è il Paese-del-non-dove, quarta dimensione oltre la sfera che delimita gli assi del cosmo visibile...»: l’angelo, insomma, non viene dalla nostra terra, procede da Dio. Ed è mandato in un luogo periferico della Galilea, in una città tanto piccola da non essere mai nominata nella Bibbia ebraica, Nazaret.
Abbiamo davvero bisogno degli angeli: nella Scrittura difendono dai nemici (come farà Michele), sono i compagni di viaggio (come Raffaele per Tobia), svolgono la funzione di interpreti (come alla tomba vuota, quando spiegano che Gesù è risorto) oppure, è il nostro caso, portano un importante messaggio. Tutti possono svolgere il servizio degli “angeli”, ed essere inviati dalla Provvidenza di Dio per essere compagni al prossimo; ma il compito affidato a una di queste creature, Gabriele, è davvero speciale. Egli è lo strumento della rivelazione che ha cambiato la storia, e che ha svelato come la Parola di Dio, il Verbo, può farsi carne.
È un annuncio che porta alla gioia, alla quale – scrive Paolo ai cristiani di Filippi – tutti siamo invitati («Siate sempre lieti nel Signore», Filippesi 4,4). È la gioia alla quale è chiamata anche Maria.
È lei l’altra protagonista, della quale per ben due volte, con il titolo parthénos, si sottolinea la verginità (Luca 1,27), proprio quando, chiariscono i Vangeli, è sposata a Giuseppe, nominato nello stesso versetto: è il mistero della vergine-madre, e dell’onnipotenza di un Dio a cui nulla è impossibile (v. 37).
Se l’angelo porta l’annuncio, sta alla libertà di una donna accoglierlo. La sua libertà è totale, perché è kecharitōménē, chiamata con un nome nuovo che è la forma passiva di un verbo al perfetto, con il quale si dice che la grazia che ha agito in Maria continua ad agire in lei. Osserva Alberto Valentini: «La tradizione latina ha tradotto “piena di grazia”, versione alquanto libera dato che per tale espressione esiste una chiara formula greca presente nel Prologo giovanneo (Gv 1,14) e usata da Luca in riferimento a Stefano (At 6,8). Se avesse voluto indicare la pienezza di grazia in Maria avrebbe potuto usare tale formula; invece ha preferito il verbo che significa, alla lettera, “trasformata dalla grazia”».
Maria ci insegna a dire i nostri “sì”. Se il suo “sì” così grande ha cambiato la storia, i nostri possono permettere a Dio di trasformarci, in modo che anche in noi agisca la Sua grazia.