La sesta domenica dopo l’Epifania, detta «della divina clemenza», è la penultima prima dell’inizio della Quaresima. «È molto significativo», spiega Franco Manzi, «che immediatamente prima di intraprendere l’itinerario di conversione nel tempo quaresimale, i fedeli preghino con particolare intensità il Dio misericordioso». Di misericordia, infatti, si tratta nella pagina evangelica comunemente definita la “vocazione di Levi”.
A esplicitarne il messaggio è soprattutto l’evangelista che è stato identificato come il protagonista di questa scena, cioè Matteo: questi – alle parole di Gesù «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» –, nel suo Vangelo aggiunge una citazione dal profeta Osea, «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Matteo 9,13), che non si trova nel racconto di Marco.
Ma cosa crea scandalo tra i presenti, tanto da provocare l’intervento di Gesù? I gabellieri come Levi Matteo, per il fatto che trattavano coi gentili e magari si arricchivano alle spalle dei contribuenti (si ricordino le parole dell’esattore delle tasse di Gerico, Zaccheo!), erano considerati alla stregua dei peccatori o degli stessi pagani, dunque anche ritualmente impuri. La loro occupazione, perciò, era ritenuta indegna e irrispettosa della Torà (la Legge); uno di questi, però, viene chiamato da Gesù. Non solo: il Signore sarà addirittura ospitato per un pasto nella sua casa, insieme agli amici esattori delle tasse e altri che, allo stesso modo, dovevano aver palesemente abbandonato la Torà.
Vedendo la liberalità del Maestro, entrano in scena alcuni farisei, che però non si rivolgono direttamente a Gesù (forse per rispetto?), ma ai suoi discepoli. Anche se non è interpellato in prima persona, Gesù prende la parola, si espone e risponde paragonando i peccatori ai malati, e rievocando – ma, si è detto, nella versione di Matteo – una citazione dal profeta Osea.
Questo profeta si rivolgeva a Israele, invitandolo ad amare Dio col cuore, e non solo esteriormente, magari anche con pratiche religiose formali. Nel caso presente invece c’è in gioco la misericordia da usare verso gli altri, soprattutto verso quelli giudicati come peccatori o non degni della salvezza: Gesù è venuto a cercare coloro che non osservano la Torà.
Il detto di Gesù rispecchia l’ideale discussione tra le varie parti della Bibbia ebraica, documentata in un testo rabbinico a proposito della sorte di chi pecca, e nella quale ha la meglio il Dio della misericordia: «Domandarono alla Sapienza: “Qual è la punizione del peccatore?”. La Sapienza rispose: “Il male insegue i peccatori” (Pr 13,21). Domandarono alla Profezia: “Qual è la punizione del peccatore?”. La Profezia rispose: “La persona che pecca, deve morire” (Ez 18,20). La stessa cosa fu chiesta alla Torà: “Qual è la punizione del peccatore?”. La Torà rispose: “Faccia un olocausto e sarà compiuta l’espiazione”. Domandarono a Dio: “Qual è la punizione del peccatore?”. Egli rispose: “Che si converta e viva”». Il Dio di Israele, annunciato da Gesù, è il Dio della clemenza.