Già dalla seconda di Quaresima la liturgia ambrosiana ha iniziato a sviluppare un cammino che potremmo definire una catechesi battesimale costruita attraverso le pagine del vangelo secondo Giovanni. Nell’incontro tra Gesù e la Samaritana si poteva, infatti, ritrovare il tema dell’acqua (quella del pozzo di Giacobbe, e del Battesimo) come anche quello della ricerca interiore che conduce a chiedere il dono dei sacramenti dell’iniziazione; nella pagina che leggeremo domenica prossima, la guarigione del cieco nato, si tratterà dell’illuminazione di coloro che hanno ricevuto il Battesimo e possono, per la prima volta, accedere alla mensa del Signore; nell’ultima domenica di Quaresima il racconto della rianimazione di Lazzaro apre al tema della vittoria di Cristo sulla morte, e del Battesimo pegno per la vita eterna.
E veniamo dunque al Vangelo di questa domenica. Nel contesto di una diatriba tra Gesù e alcuni Giudei, a proposito di Abramo, vi si possono rintracciare tre momenti: il primo (Giovanni 8,31-36), che insiste su due idee, l’essere liberi e l’essere figli; questi due termini sono tenuti insieme da una frase di Gesù, «Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (Giovanni 8,36), nella quale il Signore promette la vera libertà a coloro che crederanno in lui.
La seconda parte del brano (8,37-47) si sviluppa su una domanda che Gesù rivolge ai suoi interlocutori, che vale oggi anche per noi: si è sicuri di essere figli di Abramo, o lo si è del diavolo? Si scopre così che la questione non è la paternità di Abramo, quanto il fatto che quelli che vogliono uccidere Gesù smentiscono con i fatti ciò che credono di essere. Gesù non mette in dubbio l’autocoscienza degli ebrei che sapevano di discendere dal primo uomo credente (Abramo), ma smaschera l’atteggiamento sbagliato di chi è schiavo del peccato, e quindi non è davvero libero.
Serve però un chiarimento su una delle frasi più forti di Gesù registrate nei Vangeli, «Voi avete per padre il diavolo» (v. 44). Tale affermazione non è rivolta a tutti gli ebrei, ma solo agli interlocutori che stanno di fronte a lui e che, da parte loro, usano espressioni altrettanto forti («Tu sei un Samaritano e un indemoniato…»; v. 48). Soprattutto, questa accusa «non va compresa alla luce dell’antigiudaismo posteriore», quanto piuttosto sulla base di analoghe espressioni, che rientrano nel genere “polemico” ben documentato nel mondo classico (e «che tra i suoi bersagli preferiti aveva i natali e la famiglia dell’avversario, la sua patria, il sesso, l’età, l’educazione, la forma del corpo, la fortuna ecc.»; R. Infante).
Nella terza parte (8,48-59) Gesù dice ai suoi antagonisti di essere fonte di vita, di conoscere il Padre, e di essere «prima di Abramo». Gesù non promette l’immortalità a chi crede in lui, ma assicura che la morte – a cui anche Abramo è stato sottoposto – non è l’ultima parola.
A noi la libertà di scegliere: o Gesù è un impostore, come ritenevano alcuni, o di lui ci si può fidare, perché egli è il Figlio che può liberare dal peccato e dalla paura della morte.