Nel Vangelo di Matteo, dopo la prima fase del suo ministero in Galilea, Gesù incontra delle resistenze che le autorità del popolo e in parte anche quest’ultimo gli riservano. Egli non subisce passivamente i rifiuti, ma prende posizione rispetto ad essi anzitutto attraverso il discorso in parabole del capitolo 13, all’interno del quale dichiara apertamente l’incomunicabilità esistente e successivamente con chiare prese di distanza che fa seguire alle azioni dei suoi avversari.
Il ritirarsi in un luogo solitario che introduce il racconto evangelico della terza domenica dopo l’Epifania è una di queste. Gesù è appena stato rifiutato dalla gente del suo villaggio ed è stato raggiunto dalla notizia della morte del Battista per mano di Erode.
Sebbene rifiutato da alcuni, egli viene letteralmente inseguito nel suo ritiro da molti altri. È una folla che nel racconto appare tanto sofferente da suscitare in Lui una tale compassione da spingerlo all’azione, prima guarendo e poi sfamando la gente. Nell’intreccio tra le resistenze di Israele e le prese di distanza di Gesù, nasce lentamente e sorprendentemente un nuovo popolo che non si raduna in virtù della propria forza, ma piuttosto per la propria debolezza e bisogno di salvezza.
Non è da questa prospettiva che i discepoli considerano la folla radunata attorno al Maestro. Essi danno infatti per scontato che tutti siano in grado di procurarsi il cibo e sollecitano Gesù perché l’assemblea venga dispersa. La richiesta che Matteo mette sulle loro labbra è forte: benché appaiano preoccupati per la folla, in realtà propongono letteralmente al Maestro di «sciogliere ogni legame» con quella gente. Non è certo l’intenzione di Gesù. I discepoli devono piuttosto imparare ad ascoltare l’umanità nelle sue fragilità, facendosene carico in prima persona e costruendo relazioni così ricche e intense da non conoscere misura.
La benedizione rituale, il mandato della distribuzione del cibo, i numeri elevati degli sfamati e del cibo avanzato, la prodigiosità di quanto accaduto sono tutti segni che dietro il racconto c’è quello che Matteo nel suo Vangelo chiama «regno di Dio». È la paternità di Dio che nella storia dell’umanità si rende presente con forza ogniqualvolta si ha il coraggio di chiamare il proprio prossimo «fratello» o «sorella», considerandolo tale a tutti gli effetti. Nel racconto della distribuzione dei pani c’è anzitutto una chiamata alla costruzione di una fraternità nuova e universale. Nella possibilità di far diventare i beni una delle vie per costruirla si trova anche l’invito a risalire dal dono al Donatore, riconoscendo Dio quale sorgente di tutto. Così da non cadere sempre e di nuovo nella sfiducia che gli israeliti dimostrarono nel cammino nel deserto e che ritroviamo nella prima lettura tratta dal libro dei Numeri. E neppure in quegli atteggiamenti idolatrici da cui Paolo mette in guardia gli abitanti di Corinto (secondo brano della liturgia) e che consistono proprio nel dimenticare Dio quale sorgente di ogni bene.