Per comprendere il passo del vangelo di Luca che ci è proposto questa domenica, è necessario contestualizzarlo. Siamo nella parte finale dell’ultimo capitolo scritto dall’evangelista, il Risorto appare agli apostoli che hanno dovuto affrontare il dramma della crocifissione e attendevano una manifestazione di Gesù per decidere cosa fare.
Li possiamo immaginare spaesati e timorosi e, dalle parole usate da Luca, comprendiamo che non avevano saputo collegare gli insegnamenti che Lui aveva dato a loro, mentre era al loro fianco, al momento drammatico della Passione, crocifissione e morte. «Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi […]”. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture». Solo quando il Risorto apre loro le menti, gli apostoli arrivano ad avere un nuovo sguardo sui discorsi che Gesù aveva fatto loro, su tutte le parole che aveva speso riguardo la necessità di dare la propria vita per salvare gli uomini. In questa occasione, ancora una volta, spiega loro il senso della sua esistenza: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme».
Ecco, quindi, che si arriva al punto cardine di questo passo del Vangelo: l’invio degli apostoli. Gesù dona lo Spirito Santo agli apostoli perché possano andare ad annunciare a tutte le genti ciò di cui sono stati testimoni. Stabilisce quali sono le priorità della loro testimonianza: la conversione e il perdono dei peccati. Accanto alla necessità di convertirsi vi è la misericordia di Dio nei confronti di ciascuno di noi. Prima delle norme da seguire, delle parole da ascoltare, vi è la grazia di essere perdonati, questo è ciò che sta a cuore a Gesù, questo è ciò che bisogna vivere prima di ogni altra cosa.
Non posso che chiedere, a me stesso e a voi, se ricordiamo ancora oggi la priorità nell’annuncio della misericordia di Dio, prima di tanti altri precetti e dettagli. Se nell’educare alla fede i più piccoli sapremo partire dal perdono e dell’Amore infinito, di cui è manifestazione, sono certo che i giovani saranno capaci di affrontare il cammino di fede con maggior slancio. Il primo annuncio non è un “tu devi”, ma un “tu sei”: sei salvato, sei amato, sei desiderato, al di là delle scelte che compirai. L’amore di Dio non è ricompensa, ma puro dono. Quanto prima comprenderemo tutto ciò, tanto più saremo stimolati ad ascoltare la sua Parola e seguirla. Se, invece, si educa alla fede a partire da un “devi” sarà molto più difficile lasciarsi toccare il cuore da Cristo Signore, sarà spontaneo apporre a questo “devi” un semplice “perché?”.
San Paolo (seconda lettura) scrive: «Cristo mi ha mandato ad annunciare il vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo». Solo il “devi” necessita della sapienza di parola, il “sei” non ne ha bisogno, perché non si tratta di spiegare, ma di lasciare spazio all’amore e al perdono. Che bella una Chiesa che parla al cuore prima che alla mente, che dona prima di invitare, che annuncia salvezza prima di domandare.