Nella seconda domenica di Pasqua la liturgia ci conduce all’interno della casa in cui, dopo la morte di Gesù, i discepoli si stanno nascondendo per paura dei Giudei. Se dal punto di vista dei rapporti con il mondo esterno essi appaiono isolati e senza prospettive, il trovarsi radunati insieme il primo giorno della settimana assume un significato ecclesiale immediato: il Risorto si manifesta alla comunità dei discepoli che cerca il suo Signore.
Circa la «paura dei Giudei» che li costringe in casa, Giovanni è l’unico evangelista a farne menzione, probabilmente per il fatto che la sua comunità si trovava a vivere un conflitto con la sinagoga dei farisei, forse addirittura una persecuzione.
In un simile contesto di tensione e isolamento giunge il Risorto. È da notare come il suo arrivo non sia favorito né auspicato da alcuna richiesta o preghiera dei discepoli, ma sia invece frutto della sua iniziativa. D’altronde, l’aveva promesso nei discorsi di addio e la sua venuta conferma la parola data.
Il Risorto giunge a porte chiuse in maniera prodigiosa, dimostrando di potersi far presente quando e dove vuole. Così rivela come non si tratti semplicemente del Gesù terreno tornato in vita miracolosamente, ma di colui che è stato innalzato, cioè che vive presso il Padre e viene dai suoi per mezzo del Paràclito promesso nella cena di addio.
Il saluto del Risorto è un augurio di pace che intende liberare i discepoli da ogni paura. Più che un semplice saluto è un dono che Egli fa ai suoi e che nasce dal mistero di morte e risurrezione appena vissuto: in esso il Padre si è rivelato come colui che sempre dà la vita e opera per il bene. In questa verità i discepoli devono trovare pace in un’esistenza libera dalla paura e dalla tristezza. E così accade.
Il Risorto esibisce i segni della Passione, testimoniando di vivere una vita che non teme la morte. Il riconoscimento e la gioia dei discepoli sono immediati, mostrando così come la fede pasquale si concretizzi in un’esistenza chiamata costantemente a passare dalla tristezza alla gioia. Il Risorto, rinnovato il dono della pace, procede subito a inviare i discepoli. Essi dovranno rappresentarlo come lui ha rappresentato il Padre, prolungando la sua stessa missione in stretta continuità con il suo stile e le sue intenzioni. In seconda battuta, ecco il dono dello Spirito: è la Pentecoste di Giovanni. Un simile dono è certamente anzitutto in vista dell’invio, ma anche nella prospettiva di introdurre i discepoli alla vita piena che il Maestro aveva promesso a coloro che avrebbero accolto i suoi insegnamenti.
La missione di cui il Risorto incarica i suoi è un’opera di riconciliazione. Qui la nozione di «peccato» non va intesa in senso morale di una mancanza da rimettere, ma secondo l’idea giovannea di un rifiuto della rivelazione del Padre in Cristo. Quindi i discepoli sono investiti del compito di favorire in ogni modo in quelli che incontreranno l’esperienza del sentirsi amati, accogliendo il Vangelo del Figlio morto e risorto.