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lunedì 12 maggio 2025
 

Domenica 28 novembre 2021 - III Domenica di Avvento

Nel Vangelo di questa domenica ritorna il Battista. Giovanni però, ora, non annuncia la conversione, non battezza nell’acqua del Giordano, non parla di chi sarebbe venuto dopo di lui: è in prigione. L’evangelista Luca aveva già narrato del suo arresto: «Il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione» (Luca 3,18-20). Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, che scrisse per l’imperatore Vespasiano il resoconto della guerra giudaica contro Roma, ci fornisce una notizia che nemmeno i Vangeli riportano: «Giovanni, per il sospetto di Erode, fu inviato in catene a Macheronte», un palazzo che Erode il Grande aveva fortificato, che si trova in Giordania, sulla riva orientale del Mar Morto. Da Macheronte, Giovanni invia un’ambasciata a Gesù. Ci impressiona la situazione. Mentre Gesù – la “Parola” – annuncia con umiltà il perdono dei peccati e il Vangelo ai poveri, la “voce” tonante del Battista, che risuonava nel deserto, ora non si può più udire, al punto che Giovanni è costretto a parlare tramite intermediari. Ma quale sarà la ragione della sua domanda («Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»), e cosa gli manda a dire Gesù? La risposta sta nella differenza tra il messia che Giovanni attendeva (un giudice inesorabile che sarebbe venuto a regolare i conti, e che avrebbe bruciato i peccatori come la pula; cfr. Matteo 3,12), e il modo in cui Gesù agisce. C’è un enorme scarto tra l’attesa di Giovanni, o il suo modo di essere profeta, e il compimento della sua profezia. Si tratta della stessa distanza che c’è tra la profezia di Isaia – dalla pagina del lezionario di oggi – e la sua realizzazione. Per l’unica volta in tutto il libro, Isaia parla di un messia. Si fatica a cogliere questo elemento dalla traduzione Cei, per la quale il Signore si rivolge «al suo eletto», ma nell’originale ebraico Ciro è nominato proprio come il «messia di Dio». Quanto imbarazzo doveva suscitare questo appellativo negli uditori del profeta: poteva mai essere un re – straniero, per giunta – l’«unto» del Signore? Però rimane comunque Dio il protagonista principale di questa storia di salvezza: pur servendosi di Ciro, è Dio che libera i deportati di Israele e li riconduce nella terra promessa. La differenza tra il messia che Isaia ritrae, o tra il messia che il Battista si immaginava, e il messia che sarà Gesù, a questo punto, non ha nemmeno più bisogno di spiegazioni: la forza di Gesù di Nazaret non starà né negli eserciti, né nella punizione dei peccatori. Se però torniamo alla domanda di Giovanni, vediamo che in essa sono racchiuse tutte le nostre attese. Il Sinodo a cui papa Francesco ha invitato la Chiesa universale e le diocesi del nostro Paese ha come sua prima fase l’ascolto delle domande degli uomini e delle donne di questo tempo. È un’occasione che non possiamo perdere: se Gesù ha risposto alla domanda del suo precursore, quali sono le domande che noi non possiamo ignorare?


25 novembre 2021

 
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