La prima lettura della quinta domenica dopo l’Epifania è lo stralcio di un oracolo del profeta Ezechiele tratto dal capitolo 37, quello che nei primi versetti contiene la cosiddetta visione delle «ossa inaridite», una delle più famose del profeta. In una landa desolata coperta di ossa rinsecchite, Ezechiele viene invitato dal Signore a profetizzare su di esse perché riprendano vita e così accade. Allo stesso modo, dice il Signore al profeta, capiterà con Israele: il popolo sarà tratto dall’esilio in cui si trova come da un sepolcro e sarà ricondotto in patria dove ritroverà vita piena e prosperità.
Ma, oltre all’esilio, c’è un’altra ferita che fa sanguinare gravemente il popolo della promessa, ed è la sua divisione. I figli di Abramo, infatti, si sono scissi nel regno del nord (Israele) e nel regno del sud (Giuda) dopo la morte di Salomone, con un seguito di guerre fratricide, divisioni religiose e contrasti politici che hanno aggravato pesantemente la separazione. Entrambi i regni sono stati poi toccati duramente dall’esilio, anche se in tempi diversi, e certamente il dramma li ha accomunati, ma non si potrà avere piena restaurazione senza una riconciliazione autentica. Dunque il Signore si impegna in prima persona a operare la riunificazione e comanda a Ezechiele un gesto profetico che simboleggi ciò che sta per compiere. Il profeta dovrà prendere due legni, scrivervi rispettivamente il nome dei due regni, unirli facendone un unico bastone che terrà strettamente in mano pronunciando queste parole: «Così dice il Signore Dio: Ecco, io prendo il legno di Giuseppe, che è in mano a Èfraim, e le tribù d’Israele unite a lui, e lo metto sul legno di Giuda per farne un legno solo; diventeranno una cosa sola in mano mia» (Ezechiele 37,19). È sempre con i due legni stretti in pugno che Ezechiele pronuncia lo spezzone di oracolo che ascoltiamo nella liturgia.
Protagonista della profezia è un «nuovo Davide». Il re Davide fu il vero protagonista del regno unico di Israele e nella futura riunificazione ci sarà una nuova guida – un nuovo «pastore» per rimanere nel linguaggio di Ezechiele – che saprà custodire l’eredità del primo Davide, garantendo una perpetua stabilità e prosperità all’unico regno. Il resto dell’oracolo abbonda di promesse di doni e di ricchezze, oltre che della presenza di Dio stesso, accompagnate dal ripetersi di un «per sempre» che dà al nuovo regno un orizzonte ben più vasto di quello degli inizi.
Che non si tratti di una vastità solo temporale ci aiuta a comprenderlo l’episodio della guarigione del servo del centurione tratto da Matteo che ascoltiamo come lettura evangelica di questa domenica. Di fronte alla grande e limpida fede del soldato, Gesù stesso rimane meravigliato e dichiara, da «nuovo Davide», che la forza del regno di Dio sfonda ampiamente i confini del suo stesso popolo. Il Vangelo è parola di salvezza che imbandisce una mensa di vita per tutti coloro che intendono accoglierla, senza discriminazioni né esclusioni di sorta, per una nazione universale di cui Gesù e il vero pastore.