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Chiedere a qualcuno esplicitamente “che cosa sono io per te?”, significa inchiodarlo in una domanda decisiva davanti alla quale bisogna prendere per forza posizione. Gesù nel Vangelo di oggi rivolge questa domanda ai suoi discepoli, perché vuole capire con che postura del cuore lo stanno seguendo. Se sono solo degli ammiratori, degli opportunisti, degli esaltati, dei fragili in cerca di Guru, oppure sono autenticamente dei credenti.
Si è credenti quando si ha chiaro che si cerca Gesù solo perché è il Cristo, il figlio del Dio vivente. Se si cerca Gesù per altri motivi si è altro, ma certamente non si è credenti. Eppure, dopo essere stato rassicurato da Pietro rispetto proprio a questa prospettiva, Gesù deve combattere con la fatica che essi fanno ad accettare la logica della Croce: “Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»”.
Abbiamo caricato di un errato immaginario teatrale l’opera del demonio. Il male non è quello dei film horror, ma è un “pensare secondo il mondo”. Ogni giorno noi dovremmo domandarci se stiamo pensando “secondo Dio” o “secondo il mondo”. Ci accorgeremo sicuramente che pur andando in chiesa, pur ascoltando il Vangelo, pur pregando, pur accostandoci ai sacramenti, molto spesso noi continuiamo a ragionare secondo il mondo. È questa la grande domanda che dovrebbe guidare il nostro esame di coscienza: qual è il mio modo di ragionare? Se ci accorgiamo di fare i discorsi di Pietro, allora, dobbiamo accettare che Gesù dica anche a noi “torna dietro di me”, cioè fai il discepolo e non il presuntuoso che presume appunto di sapere da solo dove andare e cosa fare.
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