Forse molti lettori resteranno sorpresi, ma il vocabolo greco ekklêsía – che pure risuona 144 volte nel Nuovo Testamento – è presente nei Vangeli solo tre volte e nel Vangelo di Matteo. La prima volta nelle celebri parole rivolte da Gesù al principe degli apostoli: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia ekklêsía» (16,18), e le altre due nel cosiddetto «Discorso comunitario», il terzo quando si affronta il tema delicato della correzione fraterna: «Se [il fratello peccatore] non ascolterà [i due o tre testimoni convocati], dillo all’ekklêsía, e se non ascolterà neanche l’ekklêsía, sia per te come il pagano e il pubblicano» (18,17).
Il vocabolo ekklêsía deriva dal verbo kaléô, «chiamare»: la Chiesa è, perciò, la «convocazione» dei cristiani da parte del Signore attorno alla Parola di Dio e all’Eucaristia, è l’«assemblea» di coloro che sono uniti dalla fede comune e dall’amore fraterno (tale era anche sostanzialmente il valore dell’equivalente ebraico qehal-Jhwh, la comunità religiosa di Israele). Per spiegare questo concetto, luminose sono le parole di san Paolo: «Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo? Perché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo» (1Corinzi 10, 16-17). Si delinea, inoltre, in questa affermazione la concezione della Chiesa come corpo di Cristo, sviluppata dall’apostolo nella stessa Lettera (c. 12).
Come durante la sua esistenza terrena, Cristo ha offerto il suo messaggio, la sua salvezza e la presenza divina attraverso il suo corpo (che nel linguaggio biblico è la stessa persona), così ora la sua opera prosegue attraverso il «corpo» che è la Chiesa. Su di essa, quindi, incombe l’impegno dell’annuncio, della carità, della testimonianza. La sua molteplicità non dev’essere fonte di frammentazione e di divisione ma sorgente di armonia, così come nel corpo i vari organi convergono alla piena funzionalità dell’essere umano, in una unità di intenti e di affetti. È per questo che la Chiesa di Gerusalemme è profondamente radicata nella koinônía, ossia nella comunione fraterna (Atti 2,42-48; 4,32-35), un termine greco che a suo tempo abbiamo introdotto e spiegato nella nostra rubrica di parole neotestamentarie fondamentali.In altri scritti paolini, poi, si configura un nuovo profilo secondo il quale la Chiesa è il corpo e Cristo è il capo (Colossesi 1,18), sottolineando in tal modo l’intreccio indistruttibile che intercorre tra umanità e divinità all’interno della comunità ecclesiale. Così, essa ha una sua visibilità nella storia, affidata al ministero di Pietro, come si è visto nell’annuncio fatto da Gesù all’apostolo, ma basata anche, in forme e gradi differenti, sull’opera degli altri apostoli e della serie di ministri che le Lettere pastorali di Paolo presentano (vescovi, presbiteri, diaconi: vedi 1Timoteo 3,1-13; Tito 1,5-9).
Uno dei compiti primari sarà quello della predicazione, a cui si deve unire il perdono dei peccati (Matteo 16, 19; Giovanni 20, 22-23). Si ha, poi, una missione che è espletata da tutti i cristiani attraverso il loro battesimo: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose» (1Pietro 2,9). La Chiesa rivela pure due volti tra loro complementari: è la comunità locale che si riunisce nell’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nell’Eucaristia e nelle preghiere (Atti 2,42), come si afferma per Gerusalemme (Paolo si rivolgerà alle altre Chiese, che nel frattempo si erano costituite, con le sue Lettere), ma è anche la Chiesa universale, corpo di Cristo nel tempo e nello spazio.
Il ritratto delle varie Chiese che emerge dal citato epistolario paolino, dagli Atti degli apostoli e dall’Apocalisse (le sette Chiese dei cc. 2-3) rivela la presenza di tensioni, differenze crisi: è, questo, il segno dell’«incarnazione» che riflette i condizionamenti umani, storici, etnici, culturali. È, allora, significativo l’appello all’unità che spesso affiora perché la Chiesa sia «sale della terra e luce del mondo» (Matteo 5,13- 14), «custodendo il buon deposito [del Vangelo e della fede] con l’aiuto dello Spirito Santo» (2Timoteo 1,14).