Suor Eugenia con una ragazza nigeriana.
Mi scrive una signora, all’indomani della manifestazione del 13 febbraio a Roma: «Ho ascoltato il suo intervento a favore delle donne, in piazza del Popolo. Mi ha colpito molto! Non credevo che una suora potesse avere tanto coraggio e coerenza; indubbiamente il suo intervento ha fatto cambiare opinione a molti. A me personalmente di sicuro: miscredente, ex comunista, senza più fede politica, mai creduto in quella religiosa; tuttavia, oggi il suo coraggio mi ha fatto nascere il desiderio di saperne di più. […] Ma lo sa che con il suo intervento ha aperto gli occhi, il cervello e il cuore a tanti di noi? Mi creda, ha seminato il bene meglio di tanti inascoltati, ripetitivi e pomposi sermoni cardinalizi. […] Lei ha parlato a migliaia di persone, di sinistra, politicizzate e sicuramente non di chiesa come mai nessun aveva fatto in passato».
Sono moltissime le reazioni come questa, di persone lontane dalla Chiesa, che mi comunicano la loro vicinanza e la loro condivisione di quanto ho detto domenica scorsa. Così come sono moltissime le reazioni di amici, conoscenti, suore e tanti sconosciuti più vicini alla Chiesa. Gli uni e gli altri mi confermano che il senso della mia presenza e del mio intervento è stato capito, nonostante alcune critiche.
Io, come tante altre religiose, cerco di attingere la genuinità della mia parola non dai teoremi astratti, ma dal vivere quotidianamente un impegno, a contatto con donne ferite, abusate e sminuite nella loro umanità. Noi religiose, che lavoriamo nel difficile e delicato settore della tratta di esseri umani per lo sfruttamento sessuale, non abbiamo mai voluto salire in cattedra per dare lezioni o fare proclami. Né tantomeno per fare politica o anche solo del semplice moralismo. Ma sempre, ovunque ce lo abbiano permesso, abbiamo cercato di far sentire la nostra voce, per denunciare questo vergognoso traffico e le condizioni di sfruttamento che rendono schiave migliaia di donne nel nostro Paese. E per dire che qualcosa si può e si deve fare per combatterlo e per dare una speranza di vita nuova alle vittime.
L’occasione che mi è stata offerta domenica mi ha permesso di portare nuovamente la mia testimonianza, anche se in un contesto forse inconsueto. Ma il mio atteggiamento è stato quello di sempre: ovvero quello di chi si fa, con umiltà ma anche con determinazione, voce di chi non ce l’ha, cercando di rompere almeno un poco il muro dell’indifferenza.