La Cantina, Trophime Bigot (1579-1650), Firenze, Galleria Uffizi.
"Non ti affascini il vino che rosseggia
scintillando nella coppa,
morbidamente fluendo!
Alla fine ti morderà come un serpente e
ti pungerà come una vipera.
(Proverbi 23,31-32)."
«Il vino mi spinge, / il vino folle che fa
cantare anche l’uomo più saggio / e lo
fa ridere sguaiatamente, lo costringe
a danzare / e gli tira fuori parole che sarebbe
meglio tacere». Così Omero in un ritratto efficace
della persona ubriaca (Odissea XIV,
463-466). Oh, sì, il calice di vino scintillante
è una tentazione a cui, una volta ceduto, si
procede lungo una china dolce e impercettibile
che ha come tappe solo un appello reiterato
che un altro poeta greco, Alceo (VII-VI
sec. a.C.), così formulava: «Presto, riempite di
nuovo il cratere di vino soave!». E alla fine,
ecco la caduta nell’avvilimento che non risparmia
nessuno, stupido e saggio. Lasciamo
la parola ancora a un autore dell’antichità,
il latino Seneca che all’amico Lucilio scriveva:
«L’ubriachezza accende e porta alla luce
tutti i vizi, togliendo quel senso del pudore
che è un freno agli istinti perversi»
Neanche la Bibbia manca all’appello in
questa ideale antologia di ammonimenti sapienziali
sulla degenerazione che l’alcol può
produrre. È ciò che tratteggia in modo vivacissimo
il libro dei Proverbi in una sua sezione
che ricalca vari elementi della saggezza
egizia, in particolare delle “massime” di
Amen-em-ope (X sec. a.C.). Il quadretto, dopo
il frammento da noi proposto, continua
così: «Allora i tuoi occhi vedranno cose strane,
la tua mente ti farà biascicare frasi sconnesse.
Ti sembrerà di giacere in alto mare oppure
di essere sospeso in cima a un albero
maestro. Dirai: “Mi hanno picchiato, eppure
non sento dolore! Mi hanno bastonato, ma
non mi sono accorto. E quando mi sveglierò?
Chiederò ancora vino!”» (23,33-35).
La finale, che ripete ciò che diceva sopra Alceo,
traccia il cerchio vizioso che ormai s’è
creato e che conduce alla dipendenza. È un
discorso che ai nostri giorni si potrebbe aggiornare
introducendo l’analoga devastazione
fisica, mentale e spirituale indotta dalla
droga. L’esortazione a essere in guardia contro
il vizio della gola, che non per nulla è
uno dei sette peccati capitali, è un’indicazione
morale sempre necessaria. Perciò, davanti
alla coppa rosseggiante che scintilla, sarebbe
meglio ascoltare solo musicalmente e non
obbedire materialmente all’invito di Violetta,
Alfredo e del coro della Traviata di Giuseppe
Verdi: «Libiam, libiam ne’ lieti calici, che
la bellezza infiora...»
Un altro sapiente biblico, il Siracide, ribadisce
la stessa lezione: «Non esagerare col vino
perché ha mandato molti in rovina». Ma
aggiunge un’altra nota che apre un diverso
profilo di questo che è pur sempre un frutto
della natura e che «allieta il cuore dell’uomo
» (Salmo 104,5): «Il vino è come la vita degli
uomini, purché tu lo beva con misura.
Che vita è mai quella di chi non ha vino? Esso,
infatti, fu creato per la gioia degli uomini.
Allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino
bevuto a tempo e con misura» (Siracide
31,25-28). È su questa linea che il vino può essere
assunto a simbolo messianico, illustrandone
la gioia, la festosità, la bellezza
Il profeta Amos, infatti, annuncia: «Verranno
giorni in cui dai monti stillerà il vino nuovo
e colerà giù dalle colline» (9,14). E a lui farà
eco Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti
un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti,
di vini raffinati» (25,6). Non è possibile,
infine, ignorare che Cristo sceglierà proprio
questo segno semplice, che è sulle tavole
di tutti i giorni, per farlo diventare destinatario
di parole e di una funzione sorprendenti:
«Questo calice è la nuova alleanza
nel mio sangue, che è versato per voi... Vi dico
che d’ora in poi non berrò di questo frutto
della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo
con voi, nel Regno del Padre mio» (Luca
22,20; Matteo 26,29).