Quella gioia di incontrare il Risorto
Gesù disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». E Gesù: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»
Giovanni 20,27-29
«Questo è il giorno che ha fatto il Signore», esulta ancora il Salmo 117 (Responsorio) già proclamato la mattina di Pasqua: oggi, nella domenica dell’ottava, in albis, dedicata alla Misericordia Divina, ci troviamo collocati ancora nel giorno glorioso della Risurrezione, giornata liturgicamente lunga 50 giorni, piena, la cui novità ha trasformato la contingenza dell’umano proiettandola, con il dono dello Spirito, nel sempre senza fine di Dio (cfr. II lettura, 1 Lettera di Pietro). La prima parte del Vangelo (Giovanni 20) descrive l’episodio capitale del primo incontro del Risorto con i suoi la sera del giorno di Pasqua. È di nuovo notte e gli apostoli, anche se hanno ricevuto gli annunci delle donne descritti con accenti simili in tutti i Vangeli della Risurrezione, sono smarriti. Dopo il sacramento della Cena, memoriale di una Presenza amante e onnipotente che attraversa e supera il tempo, hanno sperimentato la notte della Passione, hanno visto il loro Maestro flagellato, condannato, inchiodato a una croce, apparentemente inerme e impotente, sconfitto: non hanno saputo sostenere quella vista, sono scappati, sanno che Gesù è morto ed è stato sepolto; a contemplare e seguire il Signore fino all’ingresso della tomba e oltre, fino all’annuncio della Risurrezione e al primo incontro con il Risorto, sono state solo le donne, capaci di perseveranza; la loro testimonianza, però, non è bastata per liberare gli apostoli dalla paura e dal dubbio. Dieci di loro, senza Tommaso, si trovano insieme, espressione dell’unità della Chiesa delle origini (cfr. I lettura, Atti), ma sperimentano il «timore», sono preoccupati di cosa possa accadere loro dopo la condanna e l’esecuzione di Gesù: Egli li aveva avvertiti che amarLo provoca persecuzioni e ostilità ma assicura la Vita che non muore. E Lui, che li ama oltre ogni incredulità, non fa passare la notte, si fa incontro alla loro povertà, sta «in mezzo a loro» e offre la Pace, Dono di Lui, il Risorto, dimensione del cuore che chi crede in Lui conserva anche nel dolore. Il suo respiro di Vita, su di loro, è lo Spirito Santo che abilita alla missione: è Dio stesso che agisce in ogni credente rinato e rinnovato dal Battesimo. A Pasqua la Chiesa riceve da Gesù vivo, nell’intimità del cenacolo, quel Paraclito che Egli aveva promesso, capace di consolare e dare Vita, lo stesso Spirito, Dio vivo, che, a conclusione del glorioso giorno di 50 giorni, verrà effuso ancora, in modo simbolico e pubblico, sulla Chiesa di fronte al mondo.
DESIDERARLO
Non sono le mille parole che sentiamo che ci fanno credere definitivamente in Gesù: l’annuncio, necessario e fondativo, prepara l’esperienza viva di Lui. Solo incontrarlo ci cambia l’esistenza e conferma la nostra fede. Nelle nostre notti, nelle nostre paure, nei dubbi profondi e devastanti, quando abbiamo toccato con mano la sofferenza e la morte, Egli torna solo per noi, come «otto giorni dopo» per Tommaso, per farsi incontrare di nuovo: Egli è vivo, offre alla nostra incredulità smarrita, ogni giorno e fino alla fine, di toccare il suo Corpo, Comunione e Rendimento di Grazie (Eucaristia). Coraggio! Anche noi, come i discepoli, come Tommaso, «gioiamo al vedere il Signore», «crediamo e abbiamo Vita in Lui».