Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Giovanni 1,6-8.19-28
All’interno del Prologo più teologico dei quattro Vangeli, costruito sul concetto strabiliante del logos che diventa carne, troviamo incastonata, come perla, la gura di Giovanni Battista. Lo troviamo lì perché l’interpretazione della vocazione di Giovanni è stata decisiva in rapporto a quella di Gesù. Cosa “testimonia” Giovanni?
Innanzitutto Giovanni è il simbolo dell’intero Antico Testamento che attende il messia. Ma è soprattutto immagine dei profeti, e tra i profeti di Elia, che ha sempre avuto un posto speciale nel cuore di Israele. In Giovanni abbiamo l’icona del popolo che attende, che riconosce, che testimonia, che annuncia l’arrivo di un messia che non è lui.
Non è stata facile la coesistenza tra la comunità dei discepoli del Battista e quelli di Gesù. In certi momenti sono anche entrati in concorrenza tra di loro. Ma i quattro Vangeli, concordi, ci dicono che Giovanni era una “voce” vera, che non era un falso profeta. Aveva un carisma sussidiario e ancillare, ma aveva un carisma autentico. Lui battezzava con acqua, e non “in Spirito” (come farà Gesù), ma quell’acqua era vera, quel battesimo diverso era comunque un atto vero, non era un inganno né vanità. La prima comunità ha fatto fatica a trovare il giusto posto a Giovanni nell’economia della salvezza. Lo vediamo già nel suo primo interrogatorio e lo ritroveremo in tutto lo sviluppo della sua vicenda. Per la maggior parte dei suoi contemporanei, forse anche per Gesù, è il profeta Elia ritornato, per molti un grande profeta. Per tutti una “voce” che testimonia che il messia è arrivato.
Hans Urs von Balthasar, il grande teologo svizzero, ci ha insegnato che nelle figure della Chiesa primitiva ci sono alcuni profili o princìpi che valgono per comprendere la natura della Chiesa di ogni tempo. Quale dinamica ci svela allora il rapporto tra Giovanni e Gesù?
UNA NOVITÀ DECISIVA. In alcuni momenti di crisi delle comunità spirituali si sente che deve arrivare qualcosa di nuovo, qualcuno che porterà a compimento il processo iniziato. Si attende una novità necessaria e decisiva. In questi momenti in genere arriva prima “Giovanni”. È il meglio che il mondo di ieri poteva dare, ma lui/lei non è ancora la novità attesa. La sapienza di una comunità sta nel non confondere Giovanni con il messia, e continuare l’attesa. Se, infatti, Giovanni si fosse proclamato il messia atteso, o Elia, o “il” profeta (e non “un” profeta), la vicenda storica di Gesù si sarebbe certamente complicata.
A volte le comunità si bloccano perché Giovanni si autodefinisce il messia, o Elia o “il” profeta. Altre volte è la comunità che, per fretta o immaturità o perché consigliata da falsi profeti, costringe Giovanni a diventare il messia. Troppe comunità hanno smesso di aspettare una salvezza vera perché l’hanno identificata con Giovanni, e si sono perse. La principale difficoltà di questo discernimento sta nel fatto che anche Giovanni è una voce vera, non è un falso profeta. Giovanni fu il «più grande tra i nati di donna» perché non si sostituì al messia ma si fece sua porta.