La santità del sorriso
«Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti».
Filippesi 4,4
Nel cuore dell’Avvento, la terza domenica (chiamata Gaudete) prende il nome dalle prime parole dell’antifona di ingresso: «Rallegratevi nel Signore». Le letture, più di tutte le altre, sono ricche di imperativi: “gioite”, “rallegratevi”, “non temete”, “non lasciatevi cadere le braccia”… Sono imperativi di conforto e speranza!
Il profeta Sofonia, nella prima lettura, si rivolge con queste parole alla piccola porzione del popolo di Israele: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore» (Sofonia 3,14). L’annuncio profetico è controcorrente e annuncia la gioia a persone in crisi: là dove ci sono seri problemi e gravi difficoltà, la Parola di Dio esorta ad alzare lo sguardo e a dilatare il cuore. Gridare di gioia e acclamare con tutto il cuore potrebbe essere una forzatura, dal momento che è difficile comandare a qualcuno di essere contento: se non lo è, è inutile insistere.
Ma il profeta annuncia che c’è un motivo per vivere questa contentezza profonda: «È stata revocata la tua condanna, il nemico è stato disperso» (3,15). Si dice che il Signore, il Santo di Israele, è grande «in mezzo a te» (3,17). È un messaggio di speranza e di conforto: adesso, nonostante tutto, in mezzo a noi c’è la presenza del Signore, che è il più grande ed è il più forte. Questa sua presenza nella nostra vita è la fonte della gioia. Forse nella Chiesa in passato c’è stato chi ha coltivato più lo spirito di serietà che lo spirito di gioia. Se questo è vero, vuol dire che ha dimenticato il messaggio evangelico. La santità non può fare a meno di un po’ di sorriso e un po’ di umorismo.
In un mondo spesso oscuro, ilcredente non deve aggiungere tristezza a tristezza. Egli, come ricorda Paolo nella seconda lettura, sa essere testimone credibile di quella pace «che supera ogni intelligenza» (Filippesi 4,7), ovvero ogni intendimento umano, poiché è umanamente impossibile capire come si possa essere lieti e contenti anche in mezzo a persecuzioni, dolori e sofferenze. Ma per accogliere l’invito del Signore alla gioia, occorre essere persone disposte a mettersi in discussione. Per questo, Giovanni Battista, di cui ci parla il Vangelo, con la sua predicazione chiede solidarietà e onestà.
«Le folle lo interrogavano dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”» (Luca 3,10). E il Battista risponde con alcune indicazioni. Innanzitutto di fare bene quello che si deve fare. Diamo testimonianza alla gioia per il Signore che viene, facendo bene, con rettitudine e con passione le cose di ogni giorno. E una seconda indicazione: dimostrare la gioia condividendo quello che si ha.
È questa la gioia vera. A volte pensiamo che la gioia più grande sia nel ricevere, ma non è così. C’è una parola di Gesù che non è scritta nel Vangelo, ma che si trova in bocca a Paolo negli Atti degli Apostoli mentre saluta gli anziani di Efeso: «Ricordiamoci delle parole di Gesù, che disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”» (Atti 20,34). Beato non è chi accumula e trattiene egoisticamente per sé i beni, ma chi, condividendo, si fa povero per soccorrere chi è nel bisogno.