Attingendo alle domande che in diverse occasioni lettori o uditori mi hanno rivolto, scopro anche quesiti molto specifici come quello che ho scelto per questa puntata della nostra rubrica. La domanda è chiara: il Battesimo è la porta d’ingresso della persona nella salvezza, deve quindi intrecciare la grazia divina e la scelta della fede umana; e, allora, quello amministrato ai bambini non sarà un atto magico? E ancora: il Nuovo Testamento esalta questo sacramento, rivelandone anche il senso profondo (ad esempio, Romani 6,1-11), ma questo richiede un’adesione cosciente e coerente, impossibile per un bambino. Innanzitutto una duplice premessa. Non si può scindere in modo netto la Bibbia dalla Tradizione ecclesiale: quest’ultima ha la funzione di illuminare – attraverso il dono dello Spirito Santo che «conduce alla verità tutta intera», come aveva annunziato lo stesso Gesù (Giovanni 16,13) – la Scrittura svelandone il mistero di «verità», cioè di rivelazione divina, nella sua ricchezza e pienezza. Così, nel caso del Battesimo dei bambini, è soprattutto la Tradizione, a partire già dai primi secoli cristiani, che opta per questa pratica, esaltata poi da sant’Agostino in connessione con la sua dottrina del peccato originale.
Una seconda annotazione. La grazia divina precede la stessa risposta umana: è un atto di amore, come quello dei genitori nei confronti del loro piccolo molto prima che egli sappia esserne riconoscente. Scrivendo ai Romani, Paolo cita con sorpresa un passo profetico: «Isaia arriva fino a dire: Sono stato trovato anche da quelli che non mi cercavano, mi sono rivelato anche a quelli che non chiedevano di me» (10,20; Isa- ia 65,1). Il dono battesimale, poi, non è solo sostegno contro il limite morale negativo della creatura umana (come sosteneva Agostino); è anche l’adozione a essere figli di Dio, tanto da poterlo invocare abba’, cioè «babbo», come ricordava san Paolo (Romani 8,15; Galati 4,6) e già suggeriva Gesù con la preghiera distintiva del cristiano, il «Padre nostro».
Se volessimo a questo punto trovare un germe della prassi del Battesimo dei bambini nel Nuovo Testamento – tenendo sempre conto del comando del Risorto rivolto agli apostoli di «andare ad ammaestrare tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Matteo 28,19) – potremmo ricorrere ancora a Paolo. Il Battesimo ai suoi occhi tiene il posto della circoncisione per l’ebraismo: ebbene, essa veniva praticata all’ottavo giorno del bambino, quindi alle sue origini e veniva considerata – proprio come accade per il Battesimo – l’ingresso nel popolo dell’alleanza divina.
Per completezza evochiamo anche un rimando, un po’ sofisticato, proposto da alcuni biblisti. Nel Vangelo di Marco (10,13-16) si descrive la scena dei bambini che accorrono verso Gesù che «impone loro le mani e li benedice». Ora, nel testo si fa riferimento all’obiezione dei discepoli che vorrebbero “impedire” questo atto. Ebbene, il verbo greco usato per definire questa opposizione è kolúein: esso è normalmente usato nel Nuovo Testamento in contesto battesimale per indicare che non esistono “impedimenti” (come si dice in linguaggio giuridico) al Battesimo stesso. Un esempio per tutti. Il funzionario della regina Candace, dopo essere stato istruito alla fede dal diacono Filippo, domanda: «Che cosa mi impedisce (kolúein) di essere battezzato?» (Atti 8,36; si vedano anche Matteo 3,14; Atti 10,47; 11,17 sempre in contesto battesimale). Si potrebbe, allora, intravedere in quella scena evangelica un implicito appello a lasciar entrare anche i bambini nella comunione con Cristo attraverso il Battesimo.