Confesso di sentire particolarmente vicino a me il Giubileo degli artisti che si celebra da questa domenica fino a martedì 18. Infatti, ho avuto il dono di vivere la maggior parte della mia vita immerso nella bellezza, a partire dallo studio della Bibbia che è in sé un testo letterario, per cui la Parola di Dio si comunica a noi in modo bello: si pensi solo ai libri poetici come Giobbe, i Salmi, il Cantico dei cantici, oppure alle parabole affascinanti di Gesù, ai simboli che costellano le pagine profetiche, alle narrazioni coinvolgenti dei libri storici, alla limpidità delle riflessioni paoline, all’affresco e m oz i o n a n t e dell’Apocalisse e così via.
Ho, poi, trascorso anni nella Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di Milano, accanto a capolavori di Leonardo da Vinci, Raffaello, Botticelli, Tiziano, Caravaggio, Brueghel, Canova e tanti altri. Come capo-dicastero della Cultura per 15 anni ho incontrato artisti, musicisti, scrittori, architetti, ho visitato chiese mirabili e musei. Ancor oggi ho accanto a me la sterminata ricchezza dei Musei e della Biblioteca Vaticana, segni dell’amore che la Chiesa ha attestato per secoli nei confronti della bellezza.
Da Paolo VI fino a papa Francesco è stata esaltata dai pontefici la cosiddetta via pulchritudinis, quella “via della bellezza” che fin dal Medioevo si intrecciava con le vie della verità e della bontà. Questa trilogia – in latino Verum, Bonum, Pulchrum, ossia teologia, morale, arte – costituiva una sorta di costellazione luminosa nel cielo della fede. Purtroppo negli ultimi tempi si è consumato un divorzio tra arte e spiritualità e, così, abbiamo talora edifici sacri che con durezza p. David M. Turoldo definiva «garage sacrali ove i fedeli sono parcheggiati in fila davanti a Dio». Lo stesso dicasi per la musica, le immagini, lo stile delle celebrazioni liturgiche, mentre l’arte contemporanea non attinge più al “Grande codice” della cultura biblica e cristiana, scivolando in ricerche spesso autoreferenziali e lontane dalle domande umane fondamentali. Sant’Agostino, in un’opera intitolata significativamente De Musica, riconosceva che in ultima analisi «noi non amiamo se non ciò che è bello». Ed è per questo che il Giubileo degli artisti, come i vari incontri degli ultimi pontefici col mondo dell’arte rappresenta lo sforzo di riannodare i fili di un dialogo necessario.
Papa Francesco, già nel 2013 agli inizi del suo ministero petrino, e anche in seguito, ha ribadito che «la Chiesa esiste per comunicare questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”. Siamo chiamati tutti a comunicare questa triade esistenziale». Inoltre, come la fede, anche l’arte «non rappresenta il visibile, ma l’Invisibile che si cela nel visibile» (così il famoso pittore Paul Klee).
A suggello di queste poche righe su un tema immenso vorremmo citare la preziosa confessione di Steve Jobs, il creatore di Apple, morto nel 2011. In un discorso del 2005 agli studenti americani riconosceva che «la tecnologia da sola non basta. È il connubio tra la tecnologia e le arti, tra la scienza e le discipline umanistiche a darci quel risultato che ci fa sorgere un canto dal cuore».