Confucio, vissuto tra il VI e il V sec. a.C., nell’originale cinese si chiamava K’ung fu-tzu, ossia «il maestro K’ung»: il suo, infatti, è stato un insegnamento che è perdurato nei secoli, nonostante le diverse variazioni storiche, culturali e politiche di quell’immenso Paese. Ebbene, nei Lun Yü, i «Dialoghi» o «Colloqui» raccolti dai suoi discepoli, è registrata questa osservazione: «Belle parole e aspetto insinuante sono raramente associati con l’autentica virtù». Da tempo stiamo dedicandoci a riflettere sui vizi e sulle virtù, cercando appunto di superare le apparenze spesso ingannevoli. In questo esercizio selettivo certamente ci aiuta la virtù della prudenza che sa discernere con pacatezza la genuinità del valore di una persona o di una realtà. Tra l’altro, il vocabolo rimanda al latino providentia, che è un «prevedere», un intuire gli sviluppi, ma è anche un «provvedere» pratico per guidare gli eventi. Non per nulla nella Bibbia è una grazia divina, analoga all’«intelletto» e al «consiglio» presenti tra i sette doni dello Spirito Santo (Isaia 11,2). Per questo, nei libri biblici sapienziali si legge una sequenza di appelli calorosi: «Imparate, o sciocchi, la prudenza… Io, la Sapienza, possiedo la prudenza… Porgi orecchio, Israele, per ricevere la prudenza! Impara dov’è la prudenza…» (Proverbi 8,5.12; Baruc 3,9.14). Bisogna imitare il re Salomone, tratteggiato nel libro biblico della Sapienza. Egli non chiede a Dio potere e gloria ma sapienza e giustizia e prega così: «Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza» (7,7). La prudenza è, dunque, un dono divino che, però, stimola ed esige la risposta umana. È un compito personale, un vero e proprio esercizio morale da attuare. È ancora la letteratura sapienziale biblica a ripeterlo con insistenza: «L’uomo paziente ha grande prudenza (…) Chi agisce con prudenza trova fortuna (…) Con la prudenza si rende salda la casa» (Proverbi 14,29; 19,8; 24,3). Perciò, è «beato l’uomo che ha trovato la sapienza e il mortale che ha acquistato la prudenza» (3,13). Inoltre, essa è una virtù individuale ma al tempo stesso è sociale, sia perché si riette nell’agire in relazione con gli altri, sia perché dovrebbe essere l’anima dei comportamenti di massa per una convivenza più ordinata e armonica. Sempre efficace è Dante con il suo monito messo in bocca a san Tommaso d’Aquino nel Cielo del Sole, il quarto del sistema paradisiaco: «Non sien le genti troppo sicure / a giudicar, sì come quei che stima / le biade in campo pria che sien mature» (Paradiso XIII, 130-132). Si bolla, così, la superficialità e la sventatezza di chi procede con sicumera ed eccessiva sicurezza, illudendosi di aver già nei granai tutto il frumento che è ancora in crescita e maturazione nei campi, senza prevedere le turbolenze climatiche o gli eventi disastrosi. Lo stesso grande poeta al suo trisavolo fiorentino Cacciaguida ricordava appunto un antico proverbio di origine latina: «Saetta previsa vien più lenta» (Paradiso XVII, 27). La prudenza è, infatti, capace di attrezzare la persona ad affrontare rischi e pericoli, a differenza di chi è superficiale, improvvido e istintivo.